Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

venerdì 19 dicembre 2008

"Ma la Chiesa non è una città sotto assedio"

Vi riporto in questo post l'incipit di un articolo di Pietro Citati apparso il 15 dicembre su La Repubblica. Una piccola offerta per riflettere.

"In questi tempi si parla spesso, sui giornali, delle autorità ecclesiastiche: papa, cardinali, vescovi; e delle loro opinioni ed iniziative. Siccome mi considero (o vorrei essere o lo sono per alcune ore del giorno) un cristiano e un cattolico, ne parlo poco volentieri. Nel mondo, esiste una cosa indicibile che si chiama la grazia: l' unica cosa che importa in una religione, assai più della fede e delle opere. La grazia è una luce, un barlume, che talvolta ci visita (non sappiamo perché né quando), e dà un tocco alla nostra vita. Non ci viene data per nostro merito: nessun uomo ha meriti di nessuna specie. Ci viene data; e noi dobbiamo tenerla carissima.

[...]" leggi tutto

lunedì 8 dicembre 2008

Ricordi?

Qualche giorno fa, se ricordate, è scomparso ad 82 anni Henry Molaison. Se non lo ricordate, pur avendolo letto, vi potete sentire solidali con lui. Molaison stesso avrebbe rimosso la cosa. Il suo nome, o forse semplicemente le sue iniziali "H.M." riportate in numerosi studi scientifici, è associato all'interessante storia clinica di chi dall'età di 27 anni per una malattia ed un intervento chirurgico infelice ha passato la vita a dover ricominciare a conoscere il mondo tutti i giorni. Molaison non riusciva ad accumulare esperienze e fissarle. Non poteva ricordarle.
Pochissime erano le cose che egli in realtà ricordava coscientemente. Mantenne intatta la sfera della memoria associata all'apprendimento inconscio (spero di non parlare a sproposito) che permette ad ognuno di noi di riprendere a pedalare in bicicletta dopo tanto tempo.

La notizia non poteva passare inosservata se non fosse poi anche solo per le suggestioni che ci può suscitare.

Casualmente oggi scopro che su Radio2 quotidianamente c'è una piccola trasmissione dedicata e curata da un giovane attore che ha dovuto ricominciare a costruire la sua memoria per un episodio, meno grave, di amnesia. Pensavo inizialmente che fosse un'intelligente idea per una trasmissione... per orientare la trattazione dei temi scelti per le puntati a partire dall'interessante punto di vista della novità e della curiosità, quasi infantile,... E invece no. E' davvero così.
Per curiosare...

sabato 6 dicembre 2008

Gallaratese

Di prossima pubblicazione (datemi le vacanze di Natale per mettere insieme il video e qualche riga di commento): la passeggiata al Gallaratese. Sappiate resistere all'attesa.

domenica 23 novembre 2008

Passeggiata lungo Viale Jenner_parte2

Oh, finalmente una bella parrocchia piena la domenica mattina! Sarà per il passaggio dalla penombra dell’ingresso alla luminosità dell’interno che ti dispone ad un nuovo sguardo ma si percepisce la festività in pieno. Prendo posto tra alcune signore per le quali potrei fungere da nipote accompagnatore alla funzione domenicale e prima che la celebrazione abbia inizio mi guardo attorno e rimango colpito dalla complessità dello spazio interno, articolato con gli strumenti propri dell’architettura: la massa compatta, l’equilibrio di sostegni esili, luce, … Mi convinco che, ben oltre quello che avrei potuto trovare nei pressi dell’uscita della metropolitana qualcosa di veramente bello l’ho già trovato. Più tardi con l’occhio clinico passerò in rassegna questo splendido spazio. Passa pochissimo da quando mi trastullo un po’ osservando l’aula che inizia la celebrazione. Entrano in processione accompagnati dal coro che scorgo in fondo, defilato sulla destra, il sacerdote, due diaconi, sei chierichetti ed una torma di bambini, chi con i capelli rossi, chi crespi e scuri, chi con gli occhi a mandorla, ecc. con dei lumini in mano. Le mie compagne di banco intanto “Quanti bambini oggi, eh?” “Ah, l’è un bel sègn”. La liturgia è luminosa, partecipata. I bambini, che stanno per fare la loro prima confessione, leggono alcuni messaggi ai piedi del presbiterio rialzato in cui richiamano alcune loro mancanze e pian piano spengono i lumini, per poi dirigersi nella cappella feriale dove leggeranno insieme le letture e si accosteranno alla confessione. Rientreranno poi all'offertorio, dopo che il sacerdote con delicatezza e benevolenza nella sua omelia riprenderà il tema della conversione e della riconciliazione. Riaccenderanno i lumini, depositandoli ai piedi dell’altare attorno al quale sedendo a terra si stringeranno. E quando, durante la comunione i diaconi distribuiranno il pane consacrato, il celebrante rimarrà all’altare prestando attenzione e dedicandosi ai bambini divisi in due gruppi che, ancora piccoli, non partecipano della mensa eucaristica. Poche celebrazioni mi sono apparse negli ultimi mesi così vive e significative. Tra gli avvisi finali il parroco ricorda anche che nel pomeriggio è possibile partecipare ad una visita guidata della chiesa organizzata dal Politecnico e questo quasi mi sorprende e mi certifica il suo valore, se così si può dire. Da un altro punto di vista mi illumina sulla preziosità della giornata: esco di casa prendendo un vaga direzione; mi lascio guidare dalla voglia di vedere una Milano più dimessa e umile; trovo per caso una splendida chiesa contemporanea, proprio in una settimana in cui da architetto sto riflettendo sul tema dello spazio sacro; vivo una Messa gioiosa e mi ritrovo anche organizzata la visita. Che altro ancora? Finita la celebrazione rimango un po’ al mio banco appuntandomi qualche riga che avrei poi voluto mettere in bella (la prova per vedere se ci son riuscito e sapere se state gradendo questa lettura). In fondo alla chiesa il parroco ed i diaconi salutano i fedeli e alla fine mi accodo anch’io ed esco. Non avendo ancora finito di appuntar tutto mi siedo su un muretto del complesso parrocchiale e continuo con il sole che mitigava il freddo della giornata.
Intanto mi sembra di essere in paese… gruppi di persone che fanno crocchio, ragazzi che corrono, il vecchietto con il cagnolino che passa e si ferma vicino ai bambini, sorvegliati dalle madri, perché possano accarezzare l’animale…

Poi…il vocìo è inequivocabile ma non ci credo… grida sincopate, richiami netti ed un rumore di terra calpestata. Qualche metro più in là, lungo via Catone, tra il muro cieco di una casa e la canonica l’immancabile partita di calcetto.

In campo il Maghreb all-star (e con la supervisione da un tecnico-arbitro!)

L’integrazione ormai è cosa fatta.



P.S. La chiesa è la chiesa di S.Giovanni e Paolo degli arch.Figini e Pollini

Passeggiata lungo Viale Jenner_parte1

Milano. Domenica. Mi sveglio per il freddo. Buio in casa striato dalle luci che filtrano tra le lamelle delle persiane. Lentamente e silenziosamente, per non svegliare chi dorme al di là di una libreria-divisorio, sbrigo le pratiche della levata ed esco per un giro mattutino.
E’ ora di ampliare la conoscenza della città oltre l’itinerario casa-lavoro ed il Duomo. Non ho voglia dei soliti itinerari. Prendo il giornale e scendo in metropolitana e, dopo un tratto con la linea rossa, dal Duomo prendo la gialla e la percorro tutta fino alla fine, fino a Maciachini. Qualche parola sentita alcune settimana fa in ufficio in merito alla presenza di qualche nuovo edificio architettonicamente interessante già mi bastava per decidere la destinazione.
All’uscita della metropolitana non scorgo niente di significativo, muovo qualche passo e forse, in lontananza, mi pare di intuire alcune coperture che potevano essere meritevoli. Nella rapida perlustrazione della piazza a Maciachini leggo però anche il toponimo Viale Edoardo Jenner: il celebre Viale sempre agli onori della cronaca per il centro culturale islamico che lì ha sede e per le, oramai trasferite, preghiere comunitarie del venerdì. Non è casuale che su La Repubblica del giorno stesso, nella sezione milanese, c’è una pagina dedicata al tema. Non mi è sfuggito neanche, mentre arrivavo in metro l’articolo di Ilvio Diamanti “Come si fabbrica l’insicurezza” che cercava di orientare lo sguardo del lettore sul rapporto media-percezione della criminalità e delle problematiche legate alla sicurezza per il quale vi rimando anche al servizio-gioiello di Fede.
Viale Jenner è ampio, alberato, la luce filtra, i bar sono aperti,... perché non percorrerlo?
Il bar era effettivamente una mia piccola preoccupazione. Ancora dovevo far colazione. Entro nell’Alex e Franz e al caffè accompagno una brioche. Nel caso in cui per un momento avessi dimenticato la città in cui stavo passeggiando, al bancone seguo il commento della partita vittoriosa dell’Inter, del posticipo della sera prima con la Juve che vede partecipe con vivo interesse il barista, il quale in realtà da milanista avrebbe preferito un pareggio. Tale è l’interesse che anche per pagare devo farmi notare. D’altra parte come fai a non fermarti a riconsiderare gli errori di finalizzazione di Ibrahimovic che l’è un sacramentùn e l’ha fat un numer
Continuo per Viale Jenner, niente centri culturali islamici in vista ma trovi quello che non aspettavi. Delle signore di mezz’età con Svegliatevi! in mano. Devo accelerare il passo. Proseguo e, nell’attraversare un strada laterale, giro lo sguardo a destra e ad una cinquantina di metri vedo un complesso in laterizio non molto alto ma massiccio. Mi incuriosisce, forse può essere una chiesa, e visto che non volevo rientrare a casa se non dopo aver partecipato alla Messa mi avvicino. Inizio a temere il peggio. E se fosse una “Sala del Regno”? Nel giro di qualche minuto mi troverei sommerso di opuscoli e di Torri di guardia. In maniera meschina e anche poco convinta afferro il telefono e me lo avvicino all’orecchio in modo da avere la scusa pronta per dirmi impegnato. Ci credo poco anch’io e mi vergogno a simulare una vera chiamata. Chissà, magari son credibile lo stesso anche così. Sono uno di quelli che ascolta senza interrompere. Può essere, no? Alla fine si rivela essere una vera chiesa, affascinante nell’involucro esterno cieco in mattoni rossi che descrivono un articolato gioco di volumi. Attraverso un nartece in penombra entro nell’aula liturgica.

sabato 22 novembre 2008

Koolhaas e la crisi dei mercati

Alcuni rapidi appunti per i quali mi permetto la licenza dell'approssimazione:

Ore 15.40 circa, Aula De Carli del Campus Durando del Politecnico di Milano (Bovisa). Rem Koolhaas in occasione della giornata di presentazione del masterplan di OMA per la Bovisa offre all'aula stracolma una piccola lezione.
Ci introduce con una riflessione spesso ascoltata mostrandoci un colonnato greco e raccontandoci di come l'architettura in passato fosse rappresentativa di un sentire comune e condiviso di una civiltà, ... ma poi ci mostra un planisfero con tre sole scritte sopra: Y, €, $. Il mercato è ciò che adesso si rappresenta. E da qui ecco che scorre una panoramica di ciò di cui il mercato decreta il successo e ciò che lo rappresenta: l'originale, lo stravagante, lo spettacolare, il brand, il marchio di fabbrica che ingabbia ormai quelli che il sistema mediatico ha adottato come "grandi", Libeskind, Gehry, Zaha Hadid, ... ed ecco i fotomontaggi che montano "oggettoni" di lusso a formare uno skyline d'eccezione. Ecco le immagini della nuova frontiera dove questi "sogni" atterrano, il Dubai.
A seguire, però, sull'immagine dell'ideale skyline che si delinea sopra le ideali sabbie degli Emirati Arabi appare in sovraimpressione, per usare una terminologia familiare, il grafico dell'andamento dei vari Nasdaq, Nikkei, ... il crollo del mercato! La crisi! E se il mercato crolla? Lo skyline diventa nero.
Si azzera questo tipo di architettura.
Almeno questa è la profezia di Koolhaas che, proprio mentre si prende una prima pausa per bere un bicchiere di acqua, sembra richiamare alla storicità del momento, con distaccato calore, gli intervenuti. Studenti per la maggior parte.
Si azzera e si ricomincia come non succedeva da almeno una decade (o decadi?). Per un architetto alle prime armi o uno studente un bell'incoraggiamento.
C'è qualcosa da dire, ora.

Ora mi lascio andare con minor padronanza e pò con degli slogan poco argomentati ad alcuni pensieri in libertà di qualche giorno fa che a loro volta ne riprendevano altri... ma che sempre ruotavano attorno al mercato immobiliare.
"La casa è un bene." "La casa è un investimento sicuro." "Il mattone è affidabile." Ma è anche un bisogno primario.
... Leggevo un articolo di un giornale che descriveva il mercato milanese parlando di crollo e svalutazione in maniera allarmata. E' così inquietante? Io non credo.
Se è vero che la casa è primariamente un bisogno, un punto essenziale su cui costruire le proprie relazioni, la propria quotidianità ed il proprio esserci possiamo permettere che sia uno strumento eminente per far soldi facili? Per permettere inoperose rendite?
Pensate a quelle immagini un pò alla "Gattopardo" di chi gode di frutti e prestigio di proprietà immense e di terre che di giorno in giorno fruttano pur se disdegnate e poco curate. E pensate alla sempre chiesta riforma agraria che alla rendita anteponeva il bisogno di altri. E pensate ai patrimoni immobiliari, anche piccoli, di chi ha un parco-case che gli permette di riscuotere ad ogni fine del mese con sicuramente poca fatica.
E se il mattone è un buon investimento vuol dire che il valore cresce, cresce, cresce, fino ad una situazione come quella attuale dove si è perso un rapporto credibile con le effettive medie capacità di acquisto. L'affitto è la soluzione? Non proprio. Provate a vedere i canoni mensili? L'affitto, poi, molte volte è pagato da chi deve confrontarsi, per motivi di studio, lavoro, altro con la mobilità... spesso quindi da categorie particolarmente attive e da aiutare, perchè produttive o potenzialmente tali (se l'economia il centro dei nostri pensieri), e comunque vitali per la società anzichè da"spremere" da chi di professione riscuote a fine mese e accumula.
Non voglio sequestrare niente a nessuno ma... Interrompo lasciando a riflessioni più mature eventuali nuovi interventi.
Se qualcuno con salde competenze volesse intervenire ben venga.

lunedì 10 novembre 2008

"Prigioniero di Facebook"

Nel domenicale del Sole 24 Ore c'era un articolo di Andrea Bajani che con ironia raccontava della sua personale esperienza di approccio e convivenza con quella modaiola mania (o forse non così passeggera) di Facebook.
Chiarisco di essere presente anch'io lì con la mia faccia, le mie foto e alcuni miei dati. Non sono quindi un ideologico oppositore di questo sistema di comunicazione per quanto, tutto sommato, poco attento alla cura del mio spazio.

A proposito, l'articolo recitava così:
"Da settimane incontro soltanto persone che mi dicono disperate che vogliono uscire da Facebook ma non riescono a farlo. Lo dicono con gli occhi sbarrati e l'espressione di chi chiede aiuto da dietro le inferriate di una galera. Mi sembrano detenuti che dall'alto urlano a chi passa lì sotto, infilano le braccia oltre le sbarre a rimestare nell'aria. [...]" leggi tutto

domenica 9 novembre 2008

L'eccellente giornalismo

La lettura di poche righe qualche giorno fa tratte da un lungo racconto di viaggio della scrittrice inglese dei primi del '900 Vita Sackville-West mi ha richiamato ad un impegno procrastinato. Mi ero ripromesso, infatti, di commentare un video (vedi sotto) segnalatomi da un amico un pò di tempo fa ed un'associazione di idee fulminea mi ha servito l'incipit: i cani che ti corrono dietro abbaiando.
In un passaggio del libro si legge:

"I contadini alzavano la testa alla vista di uno straniero, poichè i turisti stavano incollati alle tombe e ai templi, e non giravano per i campi. Quando si fermavano a guardare, raddrizzavano la schiena curva e sopra il grano comparivano le loro camicie blu. Nei villaggi, i cani ti correvano incontro abbaiando, e orde di bambini spuntavano da chissà dove, con le faccette sorridenti, le mani tese e i piedi nudi che strisciavano nella polvere."

Siamo in Egitto, presso Luxor, e con queste parole si racconta della libertà di muoversi e della curiosità. Poco prima è scritto:

"Mi piaceva discostarmi dalla strada per entrare nella regione della vita della campagna."

Ho trovato, da lettore, un'affinità immediata con la Sackville-West dato che passerei delle intere vacanze a peregrinare discostandomi dalla strada per perdermi in quella stessa regione. Davvero e volentieri, ma con la paura che dei cani liberi squarcino questo idillio. Confesso che la serenità di un pacificante cammino rurale la associo al timore di cani che mi considerino un pericoloso estraneo.
Ma pur ammettendo che possano esserci avrebbe senso che io diffondessi in maniera allarmata e irrazionale lo spauracchio, legato solo a mie fissazioni forse, di belve feroci che son sempre pronte ad azzannare?

E se poi lo facesse, a suo modo, un giornalista televisivo dedicando tempo ed energia a spaventare il pubblico e a sdegnarlo con lo spettro del degrado e della violenza?
Guardatevi il video che accompagna questo post e se, come me, conoscete abbastanza bene Venezia godetevi il saggio di giornalismo dannoso ed insano di Emilio Fede.
Descrivervi la quiete di poter ascoltare i propri passi nel camminare la notte a Venezia quando la città è vuota, la serenità naturale di questa isola e l'assoluta pace che vi regna fino alle prime ore del giorno forse è troppo impegnativo per tentare adesso.
Con quali occhi invece il giornalista guarda a questa realtà? Con quelli dello stereotipo e del sensazionalismo del losco.

Emilio, non vorrai mica alimentare, per usare uno slogan di successo, un senso di insicurezza? O giocare con i timori di chi guarda al mondo con gli occhi della televisione?
Oltre a non fare buona informazione sappi che non aiuti me e quelli che come me hanno il "problema" dei cani sciolti per la campagna. Se è vero che assomigliano ai loro padroni e che vivano, per osmosi, dei loro umori ed i loro padroni si sentono in continuo pericolo, in guardia e ansiosi...
... vuoi che prima o poi non ci mordano per un bisogno di sicurezza a casa loro?

sabato 1 novembre 2008

I libri che non ho scritto

Curiosando in libreria uno di questi giorni potresti trovarti tra le mani dei libri che non esistono o meglio un libro che ne contiene alcuni. E’ “I libri che non ho scritto” di George Steiner. Lo scrittore e saggista francese racconta sette libri che per motivi diversi non scrisse mai. Ora, così come Umberto Eco, ironicamente rancoroso, nella presentazione milanese del libro, alla presenza dell'autore, lo ha accusato di essere un suo plagiario con dieci anni d’anticipo anch’io, molto più umilmente, mi sento defraudato dell’originalità di un libro che vive e cresce tra la mia testa e quadernetti sparsi.

Un passo indietro. Quando la curiosità viene stimolata il proposito di "saperne di più" affiora comunemente in molti di noi. Quando si ha la statura intellettuale, i mezzi quindi, ed il necessario interesse per il tema si indaga per riuscire poi a comunicare con una pubblicazione gli esiti degli studi. Ma chi vieta anche a noi che non avremmo la capacità sufficiente o la costanza che, evaporata la gioia dell’inizio e subentrata la fatica del durante, potrebbe farci arrivare alla soddisfazione di degne conclusioni di cimentarci con i buoni propositi ideali.

Quanti sono i temi che ci hanno incuriosito? O quelli che, per misteriosa affinità, periodicamente ci richiamano e riaffiorano? E poi, quante volte si è cullata la segreta aspirazione di essere il più addentro a qualcosa, di essere un’autorità in materia, di essere la pietra di paragone?
Possa essere anche solo la storia del condominio dai primi anni '20 in poi, ma è una soddisfazione!
Cosa è universalmente riconosciuto come segno di legittimazione in questo senso se non un bel nome scritto su una copertina di un libro?
Chi lo hai scritto, riconoscerai, lo ha fatto perché nel gioco della cultura quella è una pedina in più che altri dovranno considerare, perché ha creduto anch'egli di giocare legittimamente, perché vuol custodire il suo territorio e quello è la sua cittadella, perché altri leggano, ecc.

Ma tornando a noi, a noi che per ora possiamo solo evocare tale eventualità, perché non iniziare con l’esercizio più divertente? Quali sono i libri che vorresti scrivere?

Vorresti e non “avresti voluto” perché sei ancora in tempo.

domenica 26 ottobre 2008

Manifesto per Milano

Milano è sempre sui giornali in questi mesi e lo sarà per i prossimi anni oltre che per le consuete notizie economiche, di cronaca, di costume, ecc. anche per l'appuntamento con l'Expo che dovrà ospitare nel 2015. Al momento c'è però un altro grande tema legato alla trasformazione della città parallelo, anzi più rilevante, da ascrivere al nuovo Piano di Governo del Territorio.
Per qualche lettore non è un mistero che in questi mesi sia impegnato anch'io per la sua stesura. All'inizio di settembre io e molti altri abbiamo scoperto che il Piano sarebbe stato, per l'ennesima volta, presente alla Biennale di Venezia rappresentato, novità, da una scultura di cui la quasi totalità di noi collaboratori ignorava l'esistenza.
Il mistero però forse più interessante era riuscire a leggere un significato in questo grande "fagiolo". Finalmente è la rete che ci risponde!

Bene, se qualcuno che ha visitato l'Arsenale scontrandosi con un misterioso intruso volesse venire a capo della sua genesi si veda il video che allego qua sotto, tralasciando il tono propagandistico.



Per il resto non posso commentare le parole che accompagnano il filmato. Magari, terminato il lavoro e adempiuto agli obblighi contrattuali, ...

Gita d'Autunno_Parte 2

La piccola passeggiata e la silenziosità della campagna pavese era già un buon modo per essere accompagnati verso la visita. Per essere compiutamente introdotti non mancava che attraversare il vestibolo, che già lasciava vedere attraverso i suoi fornici la facciata preziosa della chiesa certosina, ed entrare nella piazza pubblica di questa cittadella. Per non bruciare subito la visita con quello che immaginavo fosse il pezzo forte, la quinta scultorea della facciata della chiesa, mi sono messo a passare in rassegna, più con gli occhi che con i piedi, i fronti del palazzo ducale e degli altri edifici che definivano questo preciso rettangolo che per primo accoglie noi pellegrini sui generis.

Mantenendo un po’ di distanza da un gruppo di gitanti veronesi d’età veneranda, che sarebbero poi diventati miei compagni di visita, mi sono avvicinato alla chiesa per godere della facciata da poco restaurata. Descriverla non è poi così semplice e per apprezzarla non si richiede nessuno sforzo intellettuale. Anche il solo pensiero solidale alla fatica e alla dedizione delle maestranze di scultori e scalpellini può essere un motivo sufficiente a giustificarlo. Maestranze peraltro scaltre a non dispendere la loro energia e le risorse del committente per arrivare poi a restituirci una meravigliosa opera incompiuta. La fascia più vicina all’occhio splende infatti di bassorilievi e decorazioni della miglior tradizione lombarda, a partire dai motivi floreali e geometrici che i Lombardo e Codussi porteranno anche a Venezia (si pensi alla Scuola Grande di San Rocco e di San Giovanni Evangelista) e dai medaglioni romaneggianti del basamento che mal si addicono ad una congregazione di certosini ma che ben si addicono ai sogni di grandezza militare di Gian Galeazzo Visconti, che promosse l’edificazione. La parte sommitale, invece, sublima la ricchezza scultorea figurativa in un'articolata composizione di pietre policrome.

Per quanto, essendo partito da Milano in mattinata solo, grande fosse la tentazione di rimanere la giornata in solitudine ed in solitaria proseguire la visita, mi sono avvicinato al gruppo dei gitanti veneti nel suo ingresso in chiesa seguendolo, facendomi pian piano meno diffidente, per fruire della guida del monaco cistercense brasiliano che lo ha accolto sotto le volte dalla navata principale all’altezza delle prime cappelle. Trovare un cistercense è una piccola sorpresa per il luogo. Il complesso nacque infatti per accogliere monaci certosini, religiosi votati alla clausura. Recentemente però, con la crisi vocazionale, i certosini lasciarono ai monaci cistercensi, che vivono secondo la Regola di San Benedetto, la cura del luogo.
Pur dovendolo saper fare per mestiere, non mi soffermo nel descrivere l’interno della chiesa perché mille guide lo saprebbero fare meglio di me. Grande è l’interesse per questo ambiente sia nella parte dell’assemblea che nella zona del coro, preziosissima nel grande apparato ligneo degli scranni intarsiati ma impressionante è soprattutto l’ambiente del grande cortile delle celle che si raggiunge uscendo dal lato destro del transetto.
Protetti dal lunghissimo portico che racchiude uno sterminato rettangolo verde si coglie lo spirito contemplativo dell’ordine certosino. Questo piccolo cosmo offre l’ordine della geometria ed il silenzio che il mondo esterno ha perso. Fermo ad osservare la teoria di archi che si rincorrono a cingere il grande prato centrale mi veniva quasi da ridere per la scena con la quale si era aperta la mia giornata: ero alla ricerca della nuova dislocazione delle biglietterie nel cantiere della restauranda Stazione Centrale e seguendo le indicazioni provvisorie la stavo raggiungendo seguito a ruota da un nervosissimo viaggiatore in evidente ritardo che a suon di bestemmie si faceva strada. Quale distanza più evidente dalla metropoli all'isola di serenità?
Il portico legava insieme le celle dei monaci che, per rispettare il loro voto di clausura vivevano rigorosamente separati in piccole abitazioni che farebbero gola ad un moderno promotore immobiliare. A loro volta quelle celle erano un microcosmo che ordinava la vita del monaco, offrendo il luogo per la sua vita di riposo, preghiera, lavoro, contemplazione perché la ricerca dell’essenziale non fosse stanco distacco ma cammino.

Questioni di numeri

Prima di proseguire ad arricchire di contenuti questo blog vorrei spiegare una cosa che mi preme. Gli affezionati lettori di queste pagine sono tantissimi. I numeri riportati nel contatore in basso a destra purtroppo riportano solamente le stime della questura.
Siete molti di più e siete migliori di chi scrive!

venerdì 24 ottobre 2008

Finalmente una sana informazione

Poco fa, dalle colonne del blog, ho buttato giù qualche appunto sul tema dell'informazione. Giusto in tema mi è stata segnalata la nascita di una nuova agenzia di stampa. Dopo una prima disamina l'ho ritenuta davvero innovativa e seria nell'affrontare i temi più importanti che riguardano la nostra società.
Se son riuscito ad accattivarmi un pò della vostra fiducia vi consiglio caldamente di aggiornarvi andando su www.freewebs.com/oukronos.


Non scherzo. Mi raccomando date una letta.

sabato 18 ottobre 2008

Galleria fotografica


Nell'immagine sopra avete un assaggio della galleria di immagini pubblicate nel web da Mauro Legovich, fotografo non professionista con il quale ebbi modo di viaggiare nel 2005. Potrete ripercorrere, attraverso gli album che ha lasciato in consultazione, l'Argentina, l'Australia, il Bhutan, l'Iran, ... Buona visione

sabato 11 ottobre 2008

Gita d'Autunno_Parte 1

Non preventivavo, questa mattina, molta difficoltà nel trovare le parole con le quali avrei steso un breve commento alla lunga passeggiata di questo sabato. L'incipit dimostra che non sono riuscito a sciogliere l’imbarazzante stallo se non dichiarandolo. Perché è facilissimo leggere l’inizio di un testo, quando ancora non si può essere annoiati, ma scriverlo…
Dicevo di una passeggiata. A dire il vero sono stato poco preciso. Si è trattato di un breve viaggio, di un giorno, reso possibile da ben 4 treni, 2 pulmann, 1 tram e due linee di metropolitana, a sud di Milano, a Pavia e a Vigevano.

Per quanto non adori veder scorrere dai finestrini di un treno o di un’auto le grandi distense pianeggianti, ho apprezzato stamattina l’avvicinamento alla prima destinazione, Pavia. Sono stato aiutato, e devo confessarlo, dalla rapida scorsa al giornale che mi ha distratto mentre il treno, partendo da Milano Centrale, abbandonava la metropoli per virare verso quel suo sud agricolo che in un gioco di opposti equilibra il nord brianzolo, urbanizzato e affollato. Il treno solcava quella campagna che Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia” sosteneva essere “di una bellezza fatta per chi vi porta la disposizione ad amarla ed un occhio esercitato a cogliere le diversità.” Come un miraggio dell'acqua nel deserto, all’orizzonte la foschia si concentrava vaporosa e poco più in alto il sole pallido inaugurava una giornata autunnale serena, per quanto non nitida. Ho continuato ad osservare quella campagna operosa dai finestrini del bus che copriva la distanza, non così breve da concedermi di percorrerla a piedi restando nei tempi della giornata, dal capoluogo alla celebre Certosa. Costeggiando il Naviglio Pavese verso Nord, in direzione di Milano, dopo 10 km si abbandona la strada principale per proseguire lungo un bel viale alberato verso est.
La stagione era rivelata in pieno nella lunga prospettiva del viale. I campi di cereali ai lati conservavano solamente gli steli recisi dalla mietitura già consumata e gli alberi avevano già salutato il verde delle loro foglie e queste cadevano in abbondanza sulla strada, spazzate ai lati dal passaggio delle auto che procedevano lente. Tre uomini, intanto, si allestivano un saluto di benvenuto agli alpini che per un raduno locale stavano per arrivare in paese. Ai fusti si alternavano bandiere tricolori, volantini e semplici scritte in nero “W gli Alpini”, su sfondi verdi , bianchi e rossi.
Al fondo del viale, infine, prendeva forma l’ingresso della Certosa e una prima soglia vegetale, anticipante il vestibolo, introduceva al luogo. La deviazione del traffico nell’ultimo tratto del viale lasciava infatti agli ultimi alberi, prossimi all’ingresso, coprire con un tappeto morbido di foglie gialle e marroni i metri finali della strada.

Causa stanchezza accumulata per i km percorsi oggi si interrompe qui il racconto. Seguiranno le altre puntate.

martedì 7 ottobre 2008

Tg ed informazione

Di televisione, che tra i mezzi di comunicazione è il più pervasivo, si parla solitamente con sufficienza e, a volte, con rigetto ideologico. Confesso di essermene distaccato molto da sette/otto anni a questa parte e di aver riscoperto la vecchia “radio”.
Quel poco di televisione che mi permetto coincide per la maggior parte con i telegiornali.
A differenza della carta stampata, che ha dalla sua una maggior libertà di selezione delle informazioni, i tg vanno seguiti così come sono stati preparati attraverso un ascolto paziente e lineare delle notizie in scaletta. Non son certo l’unico a notare e, credo a mal sopportare, la sfilza di cronache nere che spesso danno sostanza alla mezz’ora di trasmissione. E’ vero che forse una grande fetta di pubblico ama sapere degli omicidi truculenti e adora seguire la vita di Anna Maria Franzoni (e ne è testimonianza il fatto che anche nei giornali gratuiti in distribuzione nelle grandi città stampati per accogliere e diffondere pubblicità e per avere quindi molto pubblico gran parte delle pagine informano su notizie di questa leva), ma… Ma qual è l’utilità e la funzione dell’informazione attraverso un mezzo ormai strapotente e capace di condizionare scelte ed umori?
Mettendo da parte lettura dietrologiche spesso mi chiedo, e mi rispondo di getto: “No!”, a noi interessa sapere le dinamiche dei vari stupri della giornata? Ci interessa che sappiamo con dovizia di particolari come è stato ucciso l’amante?
Partendo dalla considerazione che i casi portati agli onori della cronaca derivano da un’accurata selezione tra quelli che potrebbero catturare l’attenzione dello spettatore per trasporto emotivo, da questi abbiamo una percezione condizionata sulla realtà nella quale viviamo. Se “va di moda” snocciolare tutti i casi di uxoricidio allora ovunque la percezione sconfortante di disperazione nei rapporti familiari si diffonde. Se vogliamo elencare tutte le molestie e le violenze sessuali per una settimana, e ricordiamo che anche nei periodi di silenzio i casi sono molti, allora il terrore si diffonde.
Ora, ha senso popolare la comunicazione nazionale con questo? Ci siamo abituati a considerare esistente e urgente solo quello di cui si parla, e molto, e spesso questo coincide con un’amplificazione ed un ingrandimento alla scala più ampia della chiacchiera da paese. Non sto scrivendo certo con raffinatezza e sufficiente attenzione ai distinguo necessari ma se in una comunità locale o nazionale la comunicazione, appunto, vuol svolgere una funzione edificante non è certo la ricchezza della cronaca nera un buon punto di partenza. Intendiamoci, non auspico una rimozione di ciò che, per parlar semplice, è male per far passare l’idea che tutto va bene e tutto è luminoso ma, mettendo da parte il sensazionalismo dell’omicidio di Cogne e la morte della studentessa di Perugia, con rispetto anche di chi vive il dramma, potremmo confrontarci un po’ di più sulla lotta dello stato contro le organizzazioni criminali; sulla situazione del territorio e le politiche di partecipazione alla trasformazione dello stesso; sullo stato dell’educazione (all’infuori del voto in condotta); sulle politiche ambientali; mostrare e aprire a modelli condivisibili piuttosto che mettere in mostra lo sfascio per il gusto di farlo.

sabato 4 ottobre 2008

Isfahan digitale

Cercando un'immagine di Isfahan via Internet mi sono imbattuto nel sito dello studio grafico Etérea che ha realizzato, tra i tanti lavori che potrete vedere, una bellissima animazione digitale che si ispira all'architettura persiana, di cui forse ho già confessato l'apprezzamento.

venerdì 3 ottobre 2008

Zaino in spalla

Martedì scorso mi son lasciato accompagnare nel viaggio in treno in direzione Nord (Milano), da un libro che riporta il racconto di un viaggio in un'altra direzione (Ovest-Est): Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall'Argentario al Conero. Di Enrico Brizzi.

La scelta della lettura non è stata proprio casuale. Vidi quel libro sugli scaffali di una libreria già qualche anno fa e mi incuriosì. Al limitare di quest'estate fantasticando sulla successiva mi è tornata in mente l'impresa di cui quel libro parla (la traversata coast-to-coast dell'Italia, dal Tirreno all'Adriatico) come affrontabile prossimamente. Se non (più o meno) ora, quando?

Confesso che un conteggio dei giorni necessari e della mia effettiva preparazione all'impresa da scout con zaino e tenda in spalla mi sta facendo valutare percorsi-test più contenuti. Brizzi ed i suoi compagni di viaggio impiegano, infatti, ben tre settimane per completare l'itinerario. Più o meno una settimana per regione attraversata (Toscana, Umbria, Marche).

Vorrà dire che anche qui si aprirà una riflessione: quale itinerario? Quanto tempo? Con chi? Con quale spirito? ecc.

Su internet c'è un blog che comunica l'impresa di emuli di Brizzi. Ancora non l'ho letto (prima vorrei terminare il resoconto originale della prima spedizione) ma ho scorso un pò di foto.

Ecco il link di Lo sapranno tutti.

lunedì 22 settembre 2008

Oasis

Questo pomeriggio mentre sbrigavo un pò di lavoro al pc con il sottofondo di Radio3 ho avuto la sorpresa di ascoltare qualcosa che non mi suonava proprio nuova: una trasmissione dedicata al rapporto tra uomini di fedi diverse ed in particolar modo alla vita dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana. Il percorso della trasmissione muoveva idealmente da Venezia ad Amman. Era una coincidenza che a Venezia ci fosse proprio il centro studi Oasis nel quale avevo amici coinvolti chi con la direzione, chi con la realizzazione del sito, chi con il lavoro di segreteria,...? E che l'ultimo incontro del comitato scientifico si fosse svolto proprio ad Amman?
Era proprio dell'esperienza e del lavoro di questo centro studi che vuol promuovere una conoscenza diretta ed un'attenzione concreta e libera da intellettualismi alle realtà di convivenza che la trasmissione stava trattando. Il Terzo Anello di Radio3 questa settimana dedica al lavoro di Oasis 5 puntate, fino a venerdì, tutti i giorni dalle 18.00 alle 19.00.
Compatibilmente con il lavoro io provo a seguirle.
Prima di chiudere, anche se sembra uno spot pubblicitario, condiglio il libro di Christian Van Nispen, Cristiani e Musulmani fratelli davanti a Dio?, pubblicato dallo stesso centro studi, che ho avuto modo di leggere, credo ormai tre anni fa. L'esperienza di vita dell'autore, un gesuita olandese, ormai egiziano di adozione, segnala e testimonia un cammino di incontro tra i fedeli di queste due fedi.

Dimenticavo, per approfondimenti il sito di Oasis

domenica 31 agosto 2008

Influenze reciproche

Nel dormiveglia, in uno stato di allentamento della coscienza, quando probabilmente non appaiono ancora le immagini che, con la profondità del sonno, successivamente ci scorreranno davanti agli occhi ci girano in mente brevi pensieri, fili di ragionamento che in un attimo ci troviamo a perdere e non riusciamo più a recuperare. E' seccante. Prima li avevamo in testa e poi... dimenticati. Ma di cosa trattavano?
Purtroppo, pur non perdendo del tutto l'argomento, sono abituato a vederlo succedere non molto tempo dopo la conclusione della lettura di qualche bel saggio che, nel mentre, mi dava la sensazione finalmente di "padroneggiare" un piccolo campo del sapere per poi lasciarmi con la pochezza del non riuscire fissare con coerenza il filo delle riflessioni e delle argomentazioni. Forse l'assiduità della lettura prima o poi fara fermare qualcosa in più?
Ho quindi iniziato a leggere da pochissimo tempo un altro libro sul tema del Medio Oriente (Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, Laterza). Chissà che persistendo prima o poi non ne afferri maggiormente la storia e la complessità.
Nel primo capitolo ho trovato un passaggio molto interessante:

"La scoperta del Medio Oriente antico è stata in buona misura opera della scienza europea, degli archeologi che scoprirono le fonti delle informazioni e dei filologi che le decifrarono e interpretarono per mezzo di testimonianze copte e zoroastriane, degli storici e degli altri specialisti che le hanno valutate e utilizzate. La loro scienza ha finito col trovare discepoli nel Medio Oriente stesso, aggiungendo una nuova dimensione all'autocoscienza storica dei suoi popoli che, prima d'allora, si era limitata in sostanza al periodo che comincia con la rivelazione islamica."

Sembra di vedere l'immagine speculare, in un gioco simile di invasioni, crisi e sconvolgimenti sociali e polici, di ciò che avvenne nel Medioevo quando l'Europa latina recuperò parte della sua storia culturale con la trasmissione dei testi filosofici dell'antichità greca attraverso figure quali quella degli islamici Avveroè (nativo della Cordova almohade) ed Avicenna (nativo di Balkh in Afghanistan).
Aggiungerei anche un curioso paradosso, senza entrare con giudizi nell'agone storico-politico. Il popolo che probabilmente, ad eccezione solo di quello ebraico forse, nell'area mediorientale gode di una maggiore consapevolezza del proprio percorso nei secoli è quello persiano. Credo che lo sia tuttora, almeno come quando negli anni settanta, prima della rivoluzione islamica, lo Scià Reza Pahlevi decise di organizzare a Persepoli delle grandiose celebrazioni per i 2.500 anni di vita del regno persiano, ponendosi erroneamente in continuità con i vari Ciro, Dario, Artaserse, ... E' quindi strano che nei giornali si associno le sue guide ai proclami di distruzione dello stato di Israele, dopo che Ciro il grande pose fine alla cattività babilonese e predispose la ricostruzione del Tempio di Gerusaleme. Ma per fortuna i proclami dei grandi spesso non rispecchiano l'indole pacifica e sapiente dei popoli.

Per chi guardasse con curiosità a quel mondo antico, complesso e fondamentale per la nostra storia, è disponibile on line una puntata della trasmissione Passepartout dedicata ad una mostra organizzata al Louvre intitolata Babylone.

mercoledì 27 agosto 2008

Saper raccontare

Chiedo perdono se torno ancora sull'ultimo viaggio. Non è che non abbia nient'altro in mente. Tutt'altro. Ma questo forse non via annoierà.
Ormai un mese fa, fermandomi ad osservare il paesaggio della Giudea e le colline attorno Gerusalemme mi chiedevo con quali parole avrei potuto descrivere quelle immagini una volta tornato a casa. Una cosa mi aveva colpito, a parte la prima e superficiale osservazione dell'uso totale della pietra bianca per i rivestimenti degli edifici: i declivi e le gobbe dei dei rilievi erano stravolti dalla presenza massiccia delle abitazioni che a macchie colonizzavano il territorio.
Con la sensibilità di un italiano, avvezzo a certi tipi di temi, cercavo di trattenere e meditare le impressioni per cogliere l'originalità di quei luoghi senza ricorrere a parole purtroppo note alle nostre orecchie: ecomostri, abusivismo, cementificazione, deturpazione del paesaggio, ecc. Ritenevo di dover fare uno sforzo ulteriore per poter comprendere quelle forme d'insediamento perdendo momentaneamente il punto di vista della nostra cultura.
Apro solo una breve parentesi. Tre anni fa in un altro viaggio visitai la cittadella di Rayen in Iran e tra i compagni di viaggio, qualcuno, da addetto ai lavori, mosse qualche commento sulla rozza filosofia del restauro (ricostruttivo anzichè conservativo) che si evinceva dal recupero della cittadella in terra cruda e paglia. Senz'altro eravamo di fronte ad un'altra scuola di pensiero ma a mio avviso legittima e poi, soprattutto, legata a quel luogo. C'è qualcuno che mette in dubbio la legittimità delle ricostruzioni cicliche dei templi giapponesi?
Tornando al centro della questione, in segreto, speravo di non rendermi a mia volta altezzoso muovendo parole di condanna a quel paesaggio costruito "dall'alto" della mia posizione.
Questa mattina, in attesa del tram, continuando a leggere Il Signor Mani di Yehoshua ho letto le parole che avrei voluto poter dire. Cambiando quel che c'è da cambiare, perchè l'autore mette in bocca queste osservazioni ad un osservatore dei primi del '900, vi riporto, per imparare da chi sa veramente raccontare, il passo:
" Qua e là un edificio, qua e là una strada, qua e là le fondamenta di un nuovo quartiere. Una scuola, un ospedale, un asilo infantile, un sanatorio. Perchè la Gerusalemme fuori dalle mura è ancora solo un'accozzaglia di idee isolate, di capricci di singoli individui che si scelgono un'altura e vi gettano sopra i loro progetti. Ma intanto le idee non si amalgamano, non ci sono nemmeno le strade che le allaccino, ma solo sporadici sentieri tracciati da operosi turisti."

lunedì 25 agosto 2008

L'appello del Signor Mani

Destatevi prima che sia troppo tardi e prima che il mondo si sconvolga. Conquistatevi un'identità! Si cavò di tasca la Dichiarazione di Lord Balfour, che aveva tradotto in arabo, e la lesse a quella gente, ma senza spiegarla, poi aggiunse: questa terra è vostra e nostra, metà a voi e metà a noi, e indicò verso Gerusalemme, che si vedeva confusa nella nebbia sul monte, dicendo, là ci sono gli Inglesi e qui ci sono i Turchi, ma tutti se ne andranno, tutti, e noi resteremo soli con noi stessi, destatevi, non dormite.

In un intervento precedente avevo descritto l'immagine dal carattere bucolico impressa in una vecchia fotografia che ho acquistato qualche settimana fa a Gerusalemme. Conclusi il testo solo evocando la trasformazione che sarebbe poi arrivata. Leggendo oggi queste righe tratte dal libro Il Signor Mani di Abraham Yehoshua sono ritornato a quella foto. In quelle pagine si segue in un dialogo, nel quale solo una voce è riportata, la presa di Gerusalemme da parte dell'esercito britannico e la cacciata dei turchi dopo 400 anni di occupazione durante la prima guerra mondiale.
Un'altra occupazione si sostituisce su quella terra ma il Signor Mani intuisce all'orizzonte l'arrivo del suo popolo e grida un appello agli arabi di Palestina, invoca una loro identità, vuole che anche loro si facciano popolo perchè tra popoli si possa vivere, tra identità si sappia coesistere.

domenica 24 agosto 2008

Immagini dalla Terra Santa

A voi alcune immagini dal pellegrinaggio-viaggio in Terra Santa. Per i compagni di viaggio questo è un breve trailer del filmato che, una volta terminato, un giorno vedremo insieme.

sabato 23 agosto 2008

Partire per vedersi ritornare


Ai viaggiatori che forse sono rientrati dai viaggi d'estate offro due passaggi dall'apertura del libro di Marco Aime Sensi di viaggio, Ponte alle Grazie, Milano 2005.

"Puoi restare fermo, immobile e attendere che l'ombra diventi un sottile bordo nero e lentamente si sposti, ti giri attorno, si accorci, si nasconda sotto i tuoi piedi, quasi a scomparire, poi si riaffacci per allungarsi verso oriente fino a svanire stringendosi nel buio. Oppure muoverti, farla impazzire con cambi repentini, con passi zigzaganti, salendo e scendendo lungo i sentieri e le strade. Puoi lasciare la tua ombra al suo destino immutabile di satellite senza corpo oppure portarla con te, strofinandola sui terreni che ti passano sotto i piedi, sporca, infreddolita o schiantata dall'afa.
Non è vero che i viaggi avvengono nella testa, che si può viaggiare rimanendo a casa, che si possono fare viaggi stupendi con la mente. No, non è vero. Il viaggio nasce nella testa, matura, ma per esistere ha bisogno di assorbire linfa attraverso i sensi, toccare, sentire, annusare, assaggiare. [...]
Il distacco della partenza, la partenza come morte, quante pagine sono state scritte su questi momenti spesso enfatizzati. Il partire di chi, come me, come molti di noi, viaggia per piacere o per curiosità, è un "partire per vedersi ritornare", come cantava Vecchioni. Un addio fasullo. Lungo qualche settimana, forse qualche mese, mai una vita. Eppure, ogni volta, ci scopriamo più attaccati alle nostre cose che abbiamo d'attorno, più di quanto vogliamo ammettere. Più abitudinari di quanto pensassimo."

sabato 2 agosto 2008

Di ritorno dalla Terra Santa


All’indomani del rientro in Italia dalla Terra Santa non sono ancora a casa mia. La mattina è trascorsa nell’appartamento milanese con una lentezza rara per questa città. Le persiane che aprono sulla ringhiera a oriente sono rimaste chiuse per tutta la mattina lasciando la casa nella penombra di un risveglio lento e forse mai completo. Il cortile interno del palazzo è silenzioso e credo che anche la città in questo sabato mattina agostano non sia la stessa che comunemente percepiamo. La casa è popolata da me, dal quinto canale della filodiffusione Rai e dalle valigie disfatte tra ieri sera e stamattina.

Questo fine settimana sarò da solo a Milano e credo che sia un tempo prezioso per lasciar sedimentare i passati giorni di viaggio potendomi quasi permettere una vita “contemplativa”, se saprò conservare e custodire la lentezza di questa mattina, in questo monolocale che negli ultimi due mesi ha iniziato a conformarsi a chi lo abita ospitando per accumulo carte e libri. Gli ultimi arrivi, che credo rimarranno qui fino a quando non ripartirò per Macerata, sono un libro dell’Haggadah di Pesah e due splendide foto di Gerusalemme scattate tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del secolo passato, acquistate nel negozio di Kevork Kahvedjian, un fotografo armeno custode del tesoro delle foto di suo padre Elia nel quartiere cristiano della città contesa.

In una delle due immagini campeggia la Cupola della Roccia mentre nell’altra appare con discrezione, in lontananza, unico segno che ci rende familiare quel paesaggio. In primo piano, sulla sinistra della composizione, vi è invece un ulivo secolare che nasconde il sole che ormai volge al tramonto. L’aura di luminosità che contorna l’albero lo distacca dal fondale dell’immagine, dalla Gerusalemme minuta delle piccole case in pietra bianca che si distendono ad occupare la fascia centrale orizzontale dell’immagine. Gli ultimi raggi del sole pomeridiano colgono sulla destra un pastore, seduto sulla terra sassosa del Monte degli Ulivi. Sembra aver posto fine alla sua giornata di fatiche. Mentre le sue quattro pecore continuano a stargli appresso, intuisco il suo volto cercare il tramontare del sole che immagino scendere ai suoi occhi dietro alla Moschea dorata che il califfo Abd al-Malik volle realizzare alla fine del VII secolo. Ma a noi che non è dato vedere il volgere del giorno in notte. Lo si può solo immaginare negli occhi del pastore che vedono quello che il grande ulivo stesso sta guardando dandoci le spalle. A occidente si spegne il giorno ma si rinnoverà e rinascerà da dove, nella visione del Tempio che ebbe il profeta Ezechiele, ritorna il Signore. [un angelo] mi condusse allora verso la porta che guarda a oriente ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. [Ezechiele 43, 1-2]


Quella che Elia Kahvedjian ritrae nelle sue foto è una Gerusalemme che vedrà nei decenni successivi molte cose trasformarsi. Nell’occhio che ha visto la città di oggi può insinuarsi, nel soffermarsi su queste foto, il pensiero di una nostalgia profetizzata, proiettata di qualche decennio in avanti. L’immagine bucolica, che spero presto di appendere ad una parete familiare, difficilmente sintetizza l’odierna Palestina, il conflitto e la fatica di questa terra, mutata ben al di là di quanto le distese di edifici in continua costruzione che ricoprono i colli attorno il monte del Tempio testimoniano. Non è certo il fenomeno dell’inurbamento la lente attraverso cui comprendere cosa ci separa da quella Gerusalemme.

venerdì 20 giugno 2008

Piuttosto che

Rompo un lungo periodo di silenzio cercando di contribuire dalle colonne di questo blog alla buona causa della lingua italiana. Chiamerei tutti i lettori alla battaglia contro l'inesorabile diffusione dell'uso del "piuttosto che" ad ogni livello come preposizione disgiuntiva. Se io dico: "Vado in montagna piuttosto che al mare" non voglio dire che vado al mare oppure in montagna ma che opto per la prima possibilità.
Ho quasi l'impressione che si ricorra al "piuttosto che" perchè ha un qualcosa di raffinato e ricercato (sarà per l'ampiezza della locuzione, se è giusto, che rende volgare e banale dire "o"?).
Chi non è convinto della posizione che sto sostenendo vada a vedere cosa sostiene la massima autorità della lingua italiana, l'Accademia della Crusca.
Provate anche a vedere su Google cosa ottenete scrivendo "piuttosto che".

Unitevi nella battaglia, penso che possa nascere una grande movimento popolare di lotta secondo forse soltanto al Fronte di Liberazione Nani da Giardino.

lunedì 19 maggio 2008

Viale Leopardi

Rimando i lettori di questo blog alla lettura di un altro. Niente di strano, l'autore è lo stesso. Nell'altro illustro il progetto di trasformazione urbana con il quale mi sono laureato in Aprile e che voglio proporre all'opinione pubblica maceratese. Chiedo scusa a tutti gli altri se ho avuto una nuova deriva localistica.

sabato 17 maggio 2008

Casa Museo Soane di Londra



Confesso che non sono mai andato a Londra nonostante le continue offerte di voli low-cost. Quandro andrò non penso che mi farò mancare una visita alla casa museo di John Soane.

Allo studio di questa casa ho dedicato un pò di tempo in occasione di un corso di storia dell'architettura. Il centro del lavoro di approfondimento e ricerca è stato il tema della sensibilità e dell'estetica del Sublime.

Per non annegare di materiali eventuali lettori, o futuri visitatori della casa, che ha molti potrebbe richiamare il Vittoriale di D'Annunzio, riporto la conclusione del lavoro. Se incuriosirà qualcuno pubblicherò qualcos'altro con un ampio flash-back.


"A conclusione del lavoro sembrava interessante accostare la figura di Soane ad un'altra molto lontana nel tempo e nello spazio: quella dell’imperatore romano Adriano. Al suo nome è legata una delle opere che maggiormente hanno stimolato ed interessato artisti ed intellettuali nei secoli, specialmente nel XVIII secolo segnato dai Grand Tour; tappa obbligata per il visitatore in Italia era infatti la Villa Adriana di Tivoli, meta non esclusa dagli itinerari di formazione dello stesso Soane.
E’ stimolante accostare le due figure in relazione alle loro due dimore.
Il perché di questo parallelo non va ricercato nella volontà di trovare chiavi intepretative nell’opera di progettazione dell’architetto inglese ma nella volontà di cogliere il tipo di mentalità e di concezione che è dietro la creazione della dimora di Lincoln’s Inn Field o forse è un capriccio derivato dagli stimoli che una ricerca storica non ristretta agli ambiti prettamente formali della disciplina architettonica fornisce.
Il gusto per lo studio, la riflessione e la sensibilità agli stimoli culturali di civiltà anche diverse dalle loro, erano senz’altro elementi che accomunavano i due. Chi si è addentrato nella conoscenza di Adriano anche semplicemente attraverso il celebre romanzo di Marguerite Yourcenar (Memorie di Adriano), che non pretende di essere una rigida ricostruzione storica, ricorderà la sua passione per la cultura greca, quella egiziana e di altre culture del bacino del Mediterraneo, studiate nel corso dei suoi lunghi viaggi nelle province imperiali.
David Watkin ci parla invece di un Soane “tardivo e solitario studioso dell’illuminismo, preoccupato più di qualsiasi altro architetto britannico degli ideali degli enciclopedisti e del pensiero illuminista francese”[1], ansioso di compiere una formazione che lo elevasse dalla sua umile origine.
Ciò che a mio avviso è il legame più interessante tra i due sta nella loro abitazione narrante. Abitazione che cresce simultaneamente all’esperienze, che prende forma man mano, che viene modellata in itinere non secondo la logica della semplice utilità, ma in quanto proiezione ed immagine del proprietario.
Probabilmente è storicamente inesatto credere che Villa Adriana fu in parte un collage di opere architettoniche che l’imperatore ebbe modo di visitare e delle quali volle mantenere sempre il ricordo, ma è innegabile che il concepire questo agglomerato di edifici e spazi diversi per funzione (palestre, terme, basilica, liceo,…) sia dovuto in larga parte all’esperienza personale dell’imperatore e che ne costituisca il ritratto. Era il luogo dove la Yourcenar vedeva l’imperatore che “tiene udienza con i suoi ricordi”.
Anche la villa può apparire disordinata per la sua grande complessità come la dimora di Lincoln’s Inn Field. Ciò è dovuto in parte all’inserimento di edifici tradizionali in sé conclusi e definibili all’interno di una struttura non improntata ad un criterio di razionalità geometrica, ma in gran parte scaturita dalla “creazione di specifici effetti percettivi, da un gioco voluto di contrasti fra edifici vicini e fra spazi aperti, semiaperti e chiusi concatenati fra loro, ideato per lo svago dei sensi[2].
La complessa opera di progettazione che sta dietro la creazione di questo “teatro delle arti” pur essendo profondamente radicata nella tradizione ne trasgredisce in parte. Mostra un classicismo che nella varietà e nelle dimensioni sconfina in nuovi territori.[3]

L’esigenza profondamente umana di trovare nell’abitazione un microcosmo protetto ed inalienabile trova nelle due opere proposte tra i maggiori gradi d’espressione.


[1] David Watkin, John Soane e l’Illuminismo, Casabella 660
[2] William L. MacDonald, John A. Pinto, Villa Adriana. La costruzione e il mito da Adriano a Louis Kahn, Electa, Milano, 1997, p. 43
[3] Cfr. William L. MacDonald, John A. Pinto, op. cit., p. 224-225

giovedì 8 maggio 2008

La storia siamo noi

Forse non molti di noi possono seguire con costanza la trasmissione Rai di Giovanni Minoli "La storia siamo noi" a causa degli orari in cui viene trasmessa. A chi non ha mai avuto modo di seguirla la consiglio caldamente. E' anche più facile capire cosa si intende quando si richiama la Rai alla sua funzione di servizio pubblico.
Per gli appassionati del documentario storico pubblicizzo il lik al sito della trasmissione dove potete accedere al vasto archivio delle puntate trasmesse. Volete sapere chi era Himmler, chi era Mattei, cos'è stato il Watergate? Buona visione

mercoledì 7 maggio 2008

Via Valenti


Nel corso del secolo passato abbiamo visto rinnegare, sotto gli attacchi di Le Corbusier e del Movimento Moderno, quella che per secoli è stato uno degli elementi strutturanti e caratterizzanti la città: la strada corridoio. Ovunque andrete la riconoscerete. E’ lo spazio, alberato o meno, compreso tra due cortine murarie allineate. Si pensi alla Parigi di Hausmann, alla via Sistina di Roma, a Corso Cavour a Macerata, … Nel ‘900 si iniziò a liberare l’edificato dal rapporto di interdipendenza della strada. La strada diventò un nastro libero e autonomo. Diviene più ariosa e gli edifici si collocano ai suoi lati con libertà di posizionamento ed orientamento. Si pensi alla differenza tra la città medievale con il sistema dei lotti gotici (volumi edilizi stretti e lunghi a schiera, che seguivano e definivano il percorso della strada) e la città con le palazzine isolate, libere sui quattro lati, all’interno del loro lotto.
E’ chiaro che il secondo modo di intendere la strada porta ad ampliare le possibilità di configurazione dello spazio urbano ma, di contro, ad un più difficile controllo figurativo del risultato. Cioè si rischiano risultati scadenti, soprattutto se non si fissano delle regole-base di composizione per articolare la larghezza ed il disegno della sezione stradale, i fronti, i rapporti visivi, …
Vi propongo di seguito una carrellata di immagini che riguardano Via Valenti a Macerata. C’è secondo voi nei vari interventi edilizi un’attenzione per il disegno urbano, per un rapporto dialettico con il contesto?

Parco delle Fonti


“Purtroppo il carattere romantico del Viale - o “mure da vora”, - tanto care allo scrittore Virgilio Brocchi, si è perso rapidamente. Sui marciapiedi si affollano le auto impedendo il passo ai pedoni. Ma forse è meglio così perché chi si affaccia alla ringhiera, può ammirare (si fa per dire) un bel catalogo di vecchi water, di pitali, di materassi malandati, di cartacce, di carogne di gatti, eccetera.
Il romanticismo è finito. Evviva il post-moderno!”.

Qualche anno fa Libero Paci scriveva così concludendo un breve riassunto della storia di Viale Leopardi. Ora di water e pitali non se ne avvistano ma si osserva, nelle ore lavorative, una grande distesa di auto. L’ultimo versante che mantiene un saldissimo rapporto visivo tra la città storica ed il suo paesaggio rurale rischia di perdere il suo carattere naturale per essere pian piano eroso dalle auto. E’ lo stesso rischio che si doveva prevedere quando nel 1973, andando contro l’esplicita volontà di Luigi Piccinato, l’autore del primo piano regolatore di Macerata che proponeva un collegamento intervallivo molto diverso, una variante al PRG previde la strada di scorrimento Nord (l’Incompiuta Longarini). Si sa, infatti, quanto le vie di comunicazione abbiano la capacità di valorizzare a fini edificatori le aree attraversate. Sospeso il cantiere, tutta l’area a valle delle mura di Tramontana ha mantenuto il suo carattere rurale, di grande pregio paesaggistico grande anche all’ampiezza del paesaggio offerto alla visione: Montanello, Montecassiano, e di lì a Recanati e via fino al Monte Conero. Il grosso guaio rimane nelle tracce evidenti del passaggio delle opere dell’Adriatica Costruzioni di Longarini. Che fare? Ultimare l’opera?
Risalendo da Montanello verso la galleria di prossima apertura che ci fa arrivare a Fontescodella, abbiamo un’immagine veramente suggestiva della città da Nord e man mano che ci avviciniamo il grosso taglio sulla collina dei lavori per la strada Nord ci appare evidente, come se sotto la città fosse attiva una lunga cava.
C’è bisogno di una idea chiara di cosa deve essere il versante Nord della città.
Immaginiamo che vengano terminati i lavori per la viabilità extra-urbana che permetterebbe di alleggerire la pressione del traffico di attraversamento in città. Immaginiamo non necessaria la strada Nord perché da Villa Potenza per raggiungere Piediripa o Sforzacosta si attraversa la città in galleria e ci si innesta nel sistema viabilistico a Sud. Immaginiamo quindi che la città si trova ad avere a Nord un’area paesaggisticamente preziosa manomessa da vecchi interventi infrastrutturali evitabili. Cosa fare? Quello che si ipotizza da tempo in merito: il Parco delle Fonti (Progetto preliminare nuovo PRG, linee programmaticheComune). Cioè la creazione di un parco agricolo, di un recupero ambientale dell’area. Il progetto, presentato pubblicamente tempo fa dell’Ing. Massimo Canesin riguardante la Minimetro , a prescindere dalla soluzione per la mobilità presentata, che non condivido pienamente, a mio avviso evidenziava bene la necessità di valorizzazione del Parco.
Pensiamo alle sue condizioni previe e alle sue potenzialità: 1) Perché il parco ci sia è necessario chiarire che l’area dovrà esser liberata dalle auto; 2) perché non rimanga solo una semplice dicitura dovrà essere servito ed attrezzato con percorsi e collegamenti fino al centro. 3) perché non si perdano occasioni di creativa trasformazione del paesaggio si deve riflettere sulla possibilità di riconfigurazione delle opere incompiute presenti (demolizione? Rinaturalizzazione?). Paesaggisti, artisti e architetti negli ultimi anni hanno fatto della progettazione del paesaggio, del recupero delle cave o delle ex-aree industriali un oggetto di attenta ricerca. Perché non bandire un concorso di idee o di progettazione?

Io, intanto, apro la discussione. E se volete, guardate di cosa si parla quando parliamo della qualità ambientale di questa zona (foto).

lunedì 5 maggio 2008

Si venderanno?

Ok la semplicità, il rispetto della tradizione con le sue forme ed i suoi colori ma vedete una grande differenza tra queste case e dei bungalow da villaggio turistico? Ok la bellezza di poter vivere fuori dalla congestione della città ma val la pena consumare suolo per occuparlo in questo modo. Spero che la città non ricacci il suo intorno rurale allargandosi orizzontalmente con case di questo tipo.
La bassa densità abitativa in se non è un valore. Forse ci sono rimasti solo gli architetti a pensare che solo con discrete densità la qualità dei nostri spazi possa aumentare. E non per difesa della categoria, concordo.

sabato 3 maggio 2008

Villa in Via Valenti


Nell'ultima puntata avevo parlato della casa postmoderna a Corneto. Ora pubblico alcune foto di un'abitazione in Via Ghino Valenti che sembrerebbe apparentata alla prima. A parte l'uso di colori vivaci che le rendono facilmente assimilabili nella memoria, credo che anche qui si riconosca un metodo di composizioni per parti che risultano discordanti. Cioè, ci si allontana dal concetto di composizione architettonica come relazione armonica fra il tutto e le sue parti che trova l'inizio della sua tradizione codificata in Vitruvio.

Muovo delle osservazioni critiche ad esempio sul rapporto tra il volume rivestito in pietra ed il corpo intonacato. Un rapporto di chiara contrapposizione tra le due parti è svilita dalle "seghettature" che partono dal punto di contatto del volume rosso con l'altro corpo che definiscono l'effetto volumetrico della casa fino al punto di snodo del bow-window all'estrema destra (si faccia attenzione ad esempio al piccolo aggetto vicino alla finestra circolare), peraltro di altezza diversa rispetto al resto (differenza ne così marcata da evidenziare una volontà chiara ne così leggera da non essere osservabile). In copertura, poi, l'apposizione di una struttura di copertura dal carattere rustico, conferma la mancanza di coerenza nell'uso di un linguaggio. Magari era solo ironia?

P.S. Non so chi sia l'architetto ma, critiche a parte, mi piace vedere un tentativo di sperimentare nuovi linguaggi e riconoscere attenzione e sensibilità per la forma architettonica alle prese con il tema di sempre, l'Abitare.

venerdì 2 maggio 2008

Conferenza Macerata Ebraica

Faccio eco alla comunicazione di una conferenza promossa dal Comune di Macerata al Teatro Lauro Rossi (sala Beniamino Gigli) domenica 4 Maggio alle 18.00 dal titolo Macerata Ebraica, la storia i luoghi e l'arte cerimoniale.

"Un percorso alla scoperta della Macerata ebraica e delle comunità ebraiche che hanno popolato le nostre zone nei secoli passati, la storia, i luoghi e gli oggetti dell'arte cerimoniale che contraddistingue i riti ebraici, saranno al centro della conferenza "Macerata Ebraica, la storia i luoghi e l'arte cerimoniale" ch si svolgerà domenica (4 maggio) alle ore 18 nella sala Beniamino Gigli del teatro Lauro Rossi di Macerata. [....]" continua
(dal COMUNICATO STAMPA N. 1 mercoledì 30 aprile 2008 del Comune di Macerata)

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mercoledì 30 aprile 2008

La casa postmoderna

La poetica della rovina ha una lunga e nobile tradizione. Trova le sue radici nello spirito romantico e la sua sensibilità nostalgica per un mondo armonioso e pacificato, quello classico, ormai scomparso. Ad essa si lega la riflessione sulla categoria estetica del Sublime in merito al quale, se lo ritrovo, posso anche mettere in rete un piccolo studio che avevo fatto. La progettazione dei giardini nell'Inghilterra dell'800 ha contribuito molto a rendere popolare il gusto per la rovina e per il frammento come materiale di progetto del nuovo, di un paesaggio irregolare e difficilmente razionalizzabile capace di suscitare emozioni, stimolare la fantasia e passioni sopite. Si pensi anche a come le immagini delle esplorazioni dei coevi Grand Tour, che si spingevano sempre più lontano fino a Spalato e a Baalbek, fornissero un repertorio sempre più ricco di suggestioni archeologiche.

Questa è stata la prima suggestione che ho avuto della casa che ci fermiamo ad osservare. Chiarisco subito che questa è una suggestione in parte condizionata dal tentativo di trovare un padre nobile dell'edificio. Non credo che l'architetto si sia inserito nel solco di questa tradizione ma che si sia nutrito molto di più dello stile, o pensiero, Postmoderno. Che cioè, come molti suoi colleghi a partire dagli anni '60-'70 del secolo scorso, si sia voluto tener libere le mani da vincoli stilistici (anche piuttosto pesanti e restrittivi nell'ambito del Movimento Moderno) e attingere un pò qua ed un pò là da tradizioni e culture diverse. Personalmente non apprezzo molto questo processo di composizione che spesso porta a decontestualizzare elementi formali per utilizzarli come adesivi da apporre a piacimento, progettando in stile o, meglio, in stili. Proprio quello che si definisce kitsch. E' chiaro che io e l'architetto di questa casa intendiamo la composizione architettonica in due modi diversi. Anche il fatto che faccia urtare in maniera quasi casuale i corpi e che denunci la disarmonia delle parti nel tutto con l'uso accentuato dei colori denucia che non sono certo i concetti di armonia, economia dei mezzi espressivi, ordine e chiarezza compositiva a dettare le linee guida del progetto.

Segnalo un chiaro riferimento nel trattamento dei muri in mattoni che si sgretolano all'opera degli architetti e artisti del gruppo Site di New York per i supermercati Best. All'interno del loro sito, nella sezione http://siteenvirodesign.com/projects/best/best01.htm troverete conferma di questo.
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Giorgio Mangani sul paesaggio marchigiano


Quando raccoglievo materiale per la mia tesi in architettura ho avuto modo di allargare la riflessione dal campo di immediata pertinenza del mio progetto, un progetto di infrastruttura urbana, al campo più ampio d'indagine del paesaggio. Marchigiano nello specifico.
Navigando su internet ho trovato la pagina web del prof. Giorgio Mangani (http://www.giorgiomangani.it/) che offre ai visitatori la possibilità di leggere e scaricare alcuni interessanti e suggestivi saggi e studi di geografia culturale, storia della cartografia, paesaggio, ecc. da lui condotti.
Tra questi vi riporto l'inizio della relazione, che potrete scaricare nel sito web citato, L'Arcadia e (è) il paesaggio marchigiano tenuta ad Ascoli Piceno nell'ambito del convegno Paesaggio: territorio del dialogo.

"E’ opinione comune nel mondo degli storici che il paesaggio agrario marchigiano sia uno dei meglio studiati grazie al lavoro trentennale condotto, a partire dagli anni Settanta del Novecento, dalla cosidetta scuola storico-economica di Ancona.
Questa osservazione è fondata se si considera il paesaggio marchigiano – universalmente percepito come uno dei connotati più caratteristici dell’identità regionale – una conseguenza concreta, il prodotto di alcuni rapporti sociali di produzione coincidenti con la diffusione, dal XIV secolo, del cosidetto “patto colonico”, la mezzadria.(1) Il paesaggio marchigiano, caratterizzato dal continuo tessuto di terreni variamente coltivati a grano, orto e vite, adagiati sulle dolci colline digradanti verso l’Adriatico, tradizionalmente avvicinato a un grande giardino, non sarebbe che il prodotto del lavoro secolare dei mezzadri, radicati dal XVI secolo, “appodiati” come dicono gli storici dell’agricoltura, sui loro campi a sorvegliare in loco i terreni.
Dal punto di vista storico-economico questa osservazione è ovviamente fondata, ma non esaurisce la portata della funzione esercitata dal paesaggio nella storia della cultura delle Marche e, probabilmente, nella definizione stessa dell’idea che la cultura italiana si è fatta della nozione e della funzione del paesaggio.
Il mio sospetto è che, pur rimanendo un prodotto storico del lavoro umano, per effetto di una sua elaborazione come categoria ideologica, il paesaggio marchigiano abbia anche svolto il ruolo di modello etico di comportamento. Piuttosto che essere soltanto la conseguenza di fattori economici, esso ha agito come fattore produttivo di comportamenti sociali, come contenitore di modelli persuasivi. [...]
continua"

martedì 29 aprile 2008

Le case del "Parco della Cerqua"

Forse alcuni di noi hanno delle riminescenze scolastiche delle case di Frank Lloyd Wright. Alcune delle più celebri realizzazioni dell'architetto statunitense, quelle legate alla sua prima fase di attività, sono nel sobborgo residenziali di Oak Park, presso Chicago, nell'Illinois. (Nella foto la Robie House)
Mutatis mutandis noi maceratesi opponiamo qualcosa all'altezza?
Anticipo con questa domanda aperta degli interventi nel blog che saranno pronti appena concluso il breve giro a Corneto che mi sono ripromesso di fare con intenti divulgativi.

Foto Iran

Potete trovare alcune foto del viaggio di cui vi ho iniziato a parlare nell'intervento precedente al seguente indirizzo:

http://fotoalbum.alice.it/foto.nardi/iraninlibert2005/

Buona visione

L'errante in Persia


Il personaggio che continuo ad evocare ai lettori si costruisce attraverso il suo mondo ed i segni che lo popolano come se fosse un grande testo. Il labirinto che si costruisce, ovvero il gioco inesauribile di percorsi ed esplorazioni sempre diverse e possibili della medesima realtà sono la sua identità. E’ casuale il testo di apertura del Blog? Il suo volto e le sue mani sono immagine delle realtà che visse. Sono archeologiche, stratificate, segno di tempi ed eventi. Solo nella fantasia della narrazione da esse si ritorna agli oggetti che tennero, alle pietre che toccarono, alle altre mani che strinsero.
Così, quando nei luoghi si depositano suggestioni letterarie o memoriali queste suscitano in chi riesce a superare la noia e la pigrizia la curiosità di toccare, vedere.
Tutto questo lungo aggancio mi serve per scrivere di un’esperienza di viaggio. Forse il tema centrale è la decisione del viaggio. Vorrei ricostruire le suggestioni che mi spinsero qualche anno fa a viaggiare in un paese che purtroppo è sempre nelle prime pagine dei giornali per argomenti deteriori: l’Iran o Persia per gli amanti di vecchie atmosfere.
Quello che abitualmente conosciamo del mondo antico è la lunga storia dei popoli che popolarono il Mediterraneo. Quello che conosciamo all’infuori del suo bacino lo si deve agli scontri intercorsi con il mondo greco-latino. Questo è il caso della Persia, il gigante orientale che fu nemico delle città greche. E’ assodato che la storia la scrivano i vincitori e, dato che la Grecia resistette mirabilmente all’invasione persiana, muovendo addirittura, poi, con le truppe di Alessandro il Macedone sull’altopiano iranico, di essa abbiamo sempre avuto l’immagine del temibile grande avversario, del portatore di una civiltà corrotta e scellerata attentatrice agli alti valori di libertà e democrazia del popolo greco. La Persia era il mondo lontano, l’Altro da noi in questa parte di Europa. Per molti, forse, quello persiano è uno dei tanti popoli passati in rassegna nel lungo racconto delle guerre condotte. Qualcosa come lo sarebbero stati successivamente i popoli barbari germanici.
Alle medie, in classe, leggemmo come testo di narrativa un libro che raccontava la vicenda di una bambina, credo orfana, che partecipava del grande evento della marcia di Alessandro Magno nella guerra contro il re Dario. Mi sembra che il libro si chiamasse “In viaggio con Alessandro” o qualcosa di simile. Mi stimolò molto la fantasia leggere dei macedoni in cammino che affrontavano terre sconosciute; leggere di questo popolo che entrava in un contatto diretto e, forse perché il testo era rivolto a dei ragazzi, piuttosto pacificato con le genti che trovava; leggere di come quella civiltà straniera era capace di affascinare il condottiero macedone, a partire dalla nobiltà della famiglia reale caduta sua prigioniera.
Qualche anno dopo ricevetti una cartolina spedita da uno zio in viaggio che ritraeva la Piazza dell’Imam di Isfahan, in Iran appunto. L’immagine era stata catturata di sera, quando l’illuminazione artificiale giocando con la grande vasca d’acqua centrale, scompone e riflette l’immagine della cupola dagli intarsi ceramici della Moschea dell’Imam. Conservai in mente con vividezza la foto. In realtà non sapevo collocare quel posto in una cartina e non mi interessava neanche. La foto era bella, questo bastava.
Seguiti altri anni, in un viaggio a Parigi fatto con amici dell’Università, quando ero al secondo anno, non macammo di andare al Louvre. C’ero già stato ma non avevo ancora visitato la sezione delle antichità mediorientali. La cosa che mi impressionò di più quel giorno nel museo fu un capitello trasportato lì da Persepoli (la sua foto è ancora incollata alla parete sulla sinistra del mio tavolo in sala studio a mo’ di santino). Era immenso. La travatura poggiava sul dorso di due tori lapidei speculari. Chissà come doveva essere la colonna su cui poggiava? E la sala dov'era? Il piccolo cartellino che dava risposta ad alcune mie domande mostrava un piccolo disegno del palazzo imperiale di Persepoli da cui proveniva il pezzo. Allora mi chiesi: “Com’è possibile che non sappia niente di questo popolo? Perché ignoro di una civiltà capace di erigere meraviglie di questo tipo?” La Persia è fuori dal nostro baricentro culturale.
Poco dopo mi proposi di studiare un po’ meglio la storia di quella parte di mondo e considerare la possibilità di concedermi come premio di laurea un viaggio lì. Come poi fu.

domenica 27 aprile 2008

Chi è l'errante?

Su stimolo del commento di Emanuela riprendo un filone abbandonato qualche intervento fa. Premetto che non ho al momento qui con me i brogliacci dove nel tempo ho fissato qualcosa in merito alla storia dell’ebreo errante però qualche riga per non far cadere il discorso la stendo ugualmente.
Diamo per assodato che quello da cui si può originare un intreccio narrativo è una leggenda trasmessa con grandi variazioni nelle varie tradizioni e che, quindi, siamo liberi di fare anche noi nostro questo misterioso personaggio. Chi è questo personaggio? Alcune tradizioni lo ritraggono come l’umile calzolaio di Gerusalemme in continua peregrinazione, altri come il mendicante eterno, altre come il saggio. Pensando a lui e liberandolo da ogni tipo di condanna morale lo immaginavo come il testimone per antonomasia. Colui che nel tempo lungo della Storia e delle storie conserva ciò che incontra. Colui che quasi impalpabilmente si muove parallelamente al dispiegarsi delle vicende perché è lì ma non interferisce. Colui che il lungo esilio ha reso ormai straniero a tutti e quindi viaggiatore, spettatore, indagatore delle vite e dei luoghi che non sono più suoi.
Qualcuno avrà presente le narrazioni delle città del Marco Polo delle Città invisibili di Calvino. Le storie del mercante veneziano, esperto nei traffici di città in città, aprono gli occhi di Kublai Khan sul suo stesso regno. Vede e narra ciò che agli altri sfugge e costruisce il lontano e sterminato impero di Kublai con le sue immagini. Si pensi allora al vecchio viaggiatore straniero tra le genti che abbiamo evocato, alle sue peregrinazioni nel tempo lungo della storia. Qual è l’acume dei suoi occhi? Quali immagini può evocare? Di cosa è memoria?
Spero che per ora queste poche e disordinate righe possano bastare. Appena riprendo in mano le carte andrò con maggior ordine.

Osserviamo Corneto


Un primo caso-studio abbastanza interessante, soprattutto per chi si dilettà un pò di città e architettura, da proporre all'attenzione dei lettori maceratesi è Corneto.
Arrivatoci una sera, più o meno tre anni fa, dopo molto tempo che non capitavo in zona, sono rimasto spaesato. Non riuscivo più a trovare i vecchi punti di riferimento che fino ad allora avevo. Conservavo l'immagine delle palazzine sul margine sinistro della strada, venendo dalla città, e del cartello giallo "Arrivederci e grazie" immediatamente prima del viottolo in discesa che portava alla casa di amici di famiglia. Ricordavo, poi, la stradina sterrata opposta al cartello ed il pino che segnalava la diramazione dalla via principale. L'intorno era completamente rurale.
Lo sviluppo residenziale dell'area mi colse di sorpresa come se me l'avessero fatto notte tempo di nascosto. Chi se l'immaginava tutte quelle villette? Per un attimo, non fosse stato per il leggero gioco collinare dell'orografia, avrei potuto pensare di essere in una villettopoli veneta.
Senza entrare nel merito dei caratteri di questo nuovo tipo di paesaggio, verso cui nutro istintivamente un pò di scettica ritrosia, vi segnalo che esiste una vasta bibliografia, per i volenterosi, che ruota generalmente attorno ai concetti di dispersione, sprawl e città diffusa. Tralasciando quindi, per ora, una riflessione sul vivere in quartieri di case isolate su lotto ci fermeremo su delle opere-campione.
A mò di post scriptum mi domando: "come mai si costruiscono così tante case? Ok che i nuclei familiari sono sempre più piccoli ma la popolazione non cresce da chissà quanti anni!" Sapete illuminarmi?

giovedì 24 aprile 2008

Osservatorio urbano Macerata

Nel 1892 il biologo e botanico Patrick Geddes allestì ad Edimburgo la così detta Outlook Tower. La torre si prefiggeva di essere il luogo da cui osservare la città, in cui conoscere e comprendere le sue trasformazioni. Geddes, tra i pionieri degli studi urbani, voleva fare della conoscenza e della comprensione dei luoghi e delle loro relazioni con i territori i punti fondanti della pianificazione e della trasformazione della città.
Realtà che concettualmente si legano all'Outlook Tower ai nostri giorni esistono in forma diversa generalmente conosciuti come Urban Center. Che io sappia dovrebbe esserci solo un libro in italiano sul tema (Bruno Monardo, Urban center. Una casa di vetro per le politiche urbane) comunque girando su internet possiamo trovare molti esempi di queste strutture, attive soprattutto nelle grandi città: Torino, Milano, Bologna, Palermo, Venezia, San Francisco,

Nelle pagine di questo blog, per diletto, senza pretese di esaustività e occasionalmente, propongo un esperimento di osservatorio urbano agli affezionati. Restringo il campo alla città di Macerata (guarda caso) chiamando i lettori "competenti" in materia a contribuire.
Non proviate imbarazzo a farvi per una volta spettatori (e commentatori, recensori e critici) della città da attori che siete.
Magari se funziona, cioè se trovo chi si appassiona all'attività, apriamo un blog apposito più istituzionale.