Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

mercoledì 30 aprile 2008

La casa postmoderna

La poetica della rovina ha una lunga e nobile tradizione. Trova le sue radici nello spirito romantico e la sua sensibilità nostalgica per un mondo armonioso e pacificato, quello classico, ormai scomparso. Ad essa si lega la riflessione sulla categoria estetica del Sublime in merito al quale, se lo ritrovo, posso anche mettere in rete un piccolo studio che avevo fatto. La progettazione dei giardini nell'Inghilterra dell'800 ha contribuito molto a rendere popolare il gusto per la rovina e per il frammento come materiale di progetto del nuovo, di un paesaggio irregolare e difficilmente razionalizzabile capace di suscitare emozioni, stimolare la fantasia e passioni sopite. Si pensi anche a come le immagini delle esplorazioni dei coevi Grand Tour, che si spingevano sempre più lontano fino a Spalato e a Baalbek, fornissero un repertorio sempre più ricco di suggestioni archeologiche.

Questa è stata la prima suggestione che ho avuto della casa che ci fermiamo ad osservare. Chiarisco subito che questa è una suggestione in parte condizionata dal tentativo di trovare un padre nobile dell'edificio. Non credo che l'architetto si sia inserito nel solco di questa tradizione ma che si sia nutrito molto di più dello stile, o pensiero, Postmoderno. Che cioè, come molti suoi colleghi a partire dagli anni '60-'70 del secolo scorso, si sia voluto tener libere le mani da vincoli stilistici (anche piuttosto pesanti e restrittivi nell'ambito del Movimento Moderno) e attingere un pò qua ed un pò là da tradizioni e culture diverse. Personalmente non apprezzo molto questo processo di composizione che spesso porta a decontestualizzare elementi formali per utilizzarli come adesivi da apporre a piacimento, progettando in stile o, meglio, in stili. Proprio quello che si definisce kitsch. E' chiaro che io e l'architetto di questa casa intendiamo la composizione architettonica in due modi diversi. Anche il fatto che faccia urtare in maniera quasi casuale i corpi e che denunci la disarmonia delle parti nel tutto con l'uso accentuato dei colori denucia che non sono certo i concetti di armonia, economia dei mezzi espressivi, ordine e chiarezza compositiva a dettare le linee guida del progetto.

Segnalo un chiaro riferimento nel trattamento dei muri in mattoni che si sgretolano all'opera degli architetti e artisti del gruppo Site di New York per i supermercati Best. All'interno del loro sito, nella sezione http://siteenvirodesign.com/projects/best/best01.htm troverete conferma di questo.
Per vedere altre foto della casa clicca qui

Giorgio Mangani sul paesaggio marchigiano


Quando raccoglievo materiale per la mia tesi in architettura ho avuto modo di allargare la riflessione dal campo di immediata pertinenza del mio progetto, un progetto di infrastruttura urbana, al campo più ampio d'indagine del paesaggio. Marchigiano nello specifico.
Navigando su internet ho trovato la pagina web del prof. Giorgio Mangani (http://www.giorgiomangani.it/) che offre ai visitatori la possibilità di leggere e scaricare alcuni interessanti e suggestivi saggi e studi di geografia culturale, storia della cartografia, paesaggio, ecc. da lui condotti.
Tra questi vi riporto l'inizio della relazione, che potrete scaricare nel sito web citato, L'Arcadia e (è) il paesaggio marchigiano tenuta ad Ascoli Piceno nell'ambito del convegno Paesaggio: territorio del dialogo.

"E’ opinione comune nel mondo degli storici che il paesaggio agrario marchigiano sia uno dei meglio studiati grazie al lavoro trentennale condotto, a partire dagli anni Settanta del Novecento, dalla cosidetta scuola storico-economica di Ancona.
Questa osservazione è fondata se si considera il paesaggio marchigiano – universalmente percepito come uno dei connotati più caratteristici dell’identità regionale – una conseguenza concreta, il prodotto di alcuni rapporti sociali di produzione coincidenti con la diffusione, dal XIV secolo, del cosidetto “patto colonico”, la mezzadria.(1) Il paesaggio marchigiano, caratterizzato dal continuo tessuto di terreni variamente coltivati a grano, orto e vite, adagiati sulle dolci colline digradanti verso l’Adriatico, tradizionalmente avvicinato a un grande giardino, non sarebbe che il prodotto del lavoro secolare dei mezzadri, radicati dal XVI secolo, “appodiati” come dicono gli storici dell’agricoltura, sui loro campi a sorvegliare in loco i terreni.
Dal punto di vista storico-economico questa osservazione è ovviamente fondata, ma non esaurisce la portata della funzione esercitata dal paesaggio nella storia della cultura delle Marche e, probabilmente, nella definizione stessa dell’idea che la cultura italiana si è fatta della nozione e della funzione del paesaggio.
Il mio sospetto è che, pur rimanendo un prodotto storico del lavoro umano, per effetto di una sua elaborazione come categoria ideologica, il paesaggio marchigiano abbia anche svolto il ruolo di modello etico di comportamento. Piuttosto che essere soltanto la conseguenza di fattori economici, esso ha agito come fattore produttivo di comportamenti sociali, come contenitore di modelli persuasivi. [...]
continua"

martedì 29 aprile 2008

Le case del "Parco della Cerqua"

Forse alcuni di noi hanno delle riminescenze scolastiche delle case di Frank Lloyd Wright. Alcune delle più celebri realizzazioni dell'architetto statunitense, quelle legate alla sua prima fase di attività, sono nel sobborgo residenziali di Oak Park, presso Chicago, nell'Illinois. (Nella foto la Robie House)
Mutatis mutandis noi maceratesi opponiamo qualcosa all'altezza?
Anticipo con questa domanda aperta degli interventi nel blog che saranno pronti appena concluso il breve giro a Corneto che mi sono ripromesso di fare con intenti divulgativi.

Foto Iran

Potete trovare alcune foto del viaggio di cui vi ho iniziato a parlare nell'intervento precedente al seguente indirizzo:

http://fotoalbum.alice.it/foto.nardi/iraninlibert2005/

Buona visione

L'errante in Persia


Il personaggio che continuo ad evocare ai lettori si costruisce attraverso il suo mondo ed i segni che lo popolano come se fosse un grande testo. Il labirinto che si costruisce, ovvero il gioco inesauribile di percorsi ed esplorazioni sempre diverse e possibili della medesima realtà sono la sua identità. E’ casuale il testo di apertura del Blog? Il suo volto e le sue mani sono immagine delle realtà che visse. Sono archeologiche, stratificate, segno di tempi ed eventi. Solo nella fantasia della narrazione da esse si ritorna agli oggetti che tennero, alle pietre che toccarono, alle altre mani che strinsero.
Così, quando nei luoghi si depositano suggestioni letterarie o memoriali queste suscitano in chi riesce a superare la noia e la pigrizia la curiosità di toccare, vedere.
Tutto questo lungo aggancio mi serve per scrivere di un’esperienza di viaggio. Forse il tema centrale è la decisione del viaggio. Vorrei ricostruire le suggestioni che mi spinsero qualche anno fa a viaggiare in un paese che purtroppo è sempre nelle prime pagine dei giornali per argomenti deteriori: l’Iran o Persia per gli amanti di vecchie atmosfere.
Quello che abitualmente conosciamo del mondo antico è la lunga storia dei popoli che popolarono il Mediterraneo. Quello che conosciamo all’infuori del suo bacino lo si deve agli scontri intercorsi con il mondo greco-latino. Questo è il caso della Persia, il gigante orientale che fu nemico delle città greche. E’ assodato che la storia la scrivano i vincitori e, dato che la Grecia resistette mirabilmente all’invasione persiana, muovendo addirittura, poi, con le truppe di Alessandro il Macedone sull’altopiano iranico, di essa abbiamo sempre avuto l’immagine del temibile grande avversario, del portatore di una civiltà corrotta e scellerata attentatrice agli alti valori di libertà e democrazia del popolo greco. La Persia era il mondo lontano, l’Altro da noi in questa parte di Europa. Per molti, forse, quello persiano è uno dei tanti popoli passati in rassegna nel lungo racconto delle guerre condotte. Qualcosa come lo sarebbero stati successivamente i popoli barbari germanici.
Alle medie, in classe, leggemmo come testo di narrativa un libro che raccontava la vicenda di una bambina, credo orfana, che partecipava del grande evento della marcia di Alessandro Magno nella guerra contro il re Dario. Mi sembra che il libro si chiamasse “In viaggio con Alessandro” o qualcosa di simile. Mi stimolò molto la fantasia leggere dei macedoni in cammino che affrontavano terre sconosciute; leggere di questo popolo che entrava in un contatto diretto e, forse perché il testo era rivolto a dei ragazzi, piuttosto pacificato con le genti che trovava; leggere di come quella civiltà straniera era capace di affascinare il condottiero macedone, a partire dalla nobiltà della famiglia reale caduta sua prigioniera.
Qualche anno dopo ricevetti una cartolina spedita da uno zio in viaggio che ritraeva la Piazza dell’Imam di Isfahan, in Iran appunto. L’immagine era stata catturata di sera, quando l’illuminazione artificiale giocando con la grande vasca d’acqua centrale, scompone e riflette l’immagine della cupola dagli intarsi ceramici della Moschea dell’Imam. Conservai in mente con vividezza la foto. In realtà non sapevo collocare quel posto in una cartina e non mi interessava neanche. La foto era bella, questo bastava.
Seguiti altri anni, in un viaggio a Parigi fatto con amici dell’Università, quando ero al secondo anno, non macammo di andare al Louvre. C’ero già stato ma non avevo ancora visitato la sezione delle antichità mediorientali. La cosa che mi impressionò di più quel giorno nel museo fu un capitello trasportato lì da Persepoli (la sua foto è ancora incollata alla parete sulla sinistra del mio tavolo in sala studio a mo’ di santino). Era immenso. La travatura poggiava sul dorso di due tori lapidei speculari. Chissà come doveva essere la colonna su cui poggiava? E la sala dov'era? Il piccolo cartellino che dava risposta ad alcune mie domande mostrava un piccolo disegno del palazzo imperiale di Persepoli da cui proveniva il pezzo. Allora mi chiesi: “Com’è possibile che non sappia niente di questo popolo? Perché ignoro di una civiltà capace di erigere meraviglie di questo tipo?” La Persia è fuori dal nostro baricentro culturale.
Poco dopo mi proposi di studiare un po’ meglio la storia di quella parte di mondo e considerare la possibilità di concedermi come premio di laurea un viaggio lì. Come poi fu.

domenica 27 aprile 2008

Chi è l'errante?

Su stimolo del commento di Emanuela riprendo un filone abbandonato qualche intervento fa. Premetto che non ho al momento qui con me i brogliacci dove nel tempo ho fissato qualcosa in merito alla storia dell’ebreo errante però qualche riga per non far cadere il discorso la stendo ugualmente.
Diamo per assodato che quello da cui si può originare un intreccio narrativo è una leggenda trasmessa con grandi variazioni nelle varie tradizioni e che, quindi, siamo liberi di fare anche noi nostro questo misterioso personaggio. Chi è questo personaggio? Alcune tradizioni lo ritraggono come l’umile calzolaio di Gerusalemme in continua peregrinazione, altri come il mendicante eterno, altre come il saggio. Pensando a lui e liberandolo da ogni tipo di condanna morale lo immaginavo come il testimone per antonomasia. Colui che nel tempo lungo della Storia e delle storie conserva ciò che incontra. Colui che quasi impalpabilmente si muove parallelamente al dispiegarsi delle vicende perché è lì ma non interferisce. Colui che il lungo esilio ha reso ormai straniero a tutti e quindi viaggiatore, spettatore, indagatore delle vite e dei luoghi che non sono più suoi.
Qualcuno avrà presente le narrazioni delle città del Marco Polo delle Città invisibili di Calvino. Le storie del mercante veneziano, esperto nei traffici di città in città, aprono gli occhi di Kublai Khan sul suo stesso regno. Vede e narra ciò che agli altri sfugge e costruisce il lontano e sterminato impero di Kublai con le sue immagini. Si pensi allora al vecchio viaggiatore straniero tra le genti che abbiamo evocato, alle sue peregrinazioni nel tempo lungo della storia. Qual è l’acume dei suoi occhi? Quali immagini può evocare? Di cosa è memoria?
Spero che per ora queste poche e disordinate righe possano bastare. Appena riprendo in mano le carte andrò con maggior ordine.

Osserviamo Corneto


Un primo caso-studio abbastanza interessante, soprattutto per chi si dilettà un pò di città e architettura, da proporre all'attenzione dei lettori maceratesi è Corneto.
Arrivatoci una sera, più o meno tre anni fa, dopo molto tempo che non capitavo in zona, sono rimasto spaesato. Non riuscivo più a trovare i vecchi punti di riferimento che fino ad allora avevo. Conservavo l'immagine delle palazzine sul margine sinistro della strada, venendo dalla città, e del cartello giallo "Arrivederci e grazie" immediatamente prima del viottolo in discesa che portava alla casa di amici di famiglia. Ricordavo, poi, la stradina sterrata opposta al cartello ed il pino che segnalava la diramazione dalla via principale. L'intorno era completamente rurale.
Lo sviluppo residenziale dell'area mi colse di sorpresa come se me l'avessero fatto notte tempo di nascosto. Chi se l'immaginava tutte quelle villette? Per un attimo, non fosse stato per il leggero gioco collinare dell'orografia, avrei potuto pensare di essere in una villettopoli veneta.
Senza entrare nel merito dei caratteri di questo nuovo tipo di paesaggio, verso cui nutro istintivamente un pò di scettica ritrosia, vi segnalo che esiste una vasta bibliografia, per i volenterosi, che ruota generalmente attorno ai concetti di dispersione, sprawl e città diffusa. Tralasciando quindi, per ora, una riflessione sul vivere in quartieri di case isolate su lotto ci fermeremo su delle opere-campione.
A mò di post scriptum mi domando: "come mai si costruiscono così tante case? Ok che i nuclei familiari sono sempre più piccoli ma la popolazione non cresce da chissà quanti anni!" Sapete illuminarmi?

giovedì 24 aprile 2008

Osservatorio urbano Macerata

Nel 1892 il biologo e botanico Patrick Geddes allestì ad Edimburgo la così detta Outlook Tower. La torre si prefiggeva di essere il luogo da cui osservare la città, in cui conoscere e comprendere le sue trasformazioni. Geddes, tra i pionieri degli studi urbani, voleva fare della conoscenza e della comprensione dei luoghi e delle loro relazioni con i territori i punti fondanti della pianificazione e della trasformazione della città.
Realtà che concettualmente si legano all'Outlook Tower ai nostri giorni esistono in forma diversa generalmente conosciuti come Urban Center. Che io sappia dovrebbe esserci solo un libro in italiano sul tema (Bruno Monardo, Urban center. Una casa di vetro per le politiche urbane) comunque girando su internet possiamo trovare molti esempi di queste strutture, attive soprattutto nelle grandi città: Torino, Milano, Bologna, Palermo, Venezia, San Francisco,

Nelle pagine di questo blog, per diletto, senza pretese di esaustività e occasionalmente, propongo un esperimento di osservatorio urbano agli affezionati. Restringo il campo alla città di Macerata (guarda caso) chiamando i lettori "competenti" in materia a contribuire.
Non proviate imbarazzo a farvi per una volta spettatori (e commentatori, recensori e critici) della città da attori che siete.
Magari se funziona, cioè se trovo chi si appassiona all'attività, apriamo un blog apposito più istituzionale.

Dibattito sulla laicità

Riporto un articolo pubblicato il passato 23 Aprile su Repubblica da Gad Lerner che ho ritenuto interessante proporre ad altri lettori:

"Ogni giorno che passa, fra i difensori della laicità si accentua la sensazione desolante di presidiare una frontiera già attraversata in lungo e in largo dalle incursioni nemiche. Ma saranno poi sempre nemiche, tali incursioni? Se il "vescovo rosso" Fernando Lugo vince le elezioni in Paraguay ponendo fine a oltre mezzo secolo di regime di destra, salutiamo in lui un' avanzata della democrazia. [...]

Letti tutto l'articolo
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/04/23/039ai.html

martedì 22 aprile 2008

Ebreo errante


Quest'estate andrò una settimana in Terra Santa. Come solitamente ritengo utile fare quando vedo all’orizzonte un viaggio mi metto alla ricerca, con largo anticipo, di un po’ di letture che mi preparino alla partenza.
Ieri ho messo piede in libreria indirizzandomi subito verso la sezione dei libri di Storia. Avevo in mente di vedere se ci fosse qualcosa relativo alla regione mediorientale, sul conflitto israelo-palestinese, sulla nascita dello stato di Israele, ecc. Per caso, il primo titolo che ho messo a fuoco è “Storia dell’ebreo errante” dello scrittore e saggista veneziano Riccardo Calimani. L’accadimento casuale è il pretesto ideale per introdurre finalmente quel soggetto che, con la dovuta fatica, potrebbe diventare una significativa storia da raccontare e da ascoltare.
L’ebreo errante è il soggetto a cui stavo pensando in chiusura del precedente intervento nel blog. Ho conosciuto questa leggenda popolare, ripresa poi da molti autori nel tempo (Goethe, Coleridge, Shelley, Schiller ,Sue, Hans Christian Andersen, Poe, tra i maggiori) da un altro libro dello stesso Calimani (Ebrei e pregiudizio. Introduzione alla dinamica dell’odio, Mondatori, Milano, 2000).
Per comunicare qual è il fulcro da cui si origina la leggenda riporto un breve passaggio dal primo libro che ho citato (sperando di non violare il diritto d’autore):


Un episodio della vita di Gesù dette origine al mito dell’ebreo errante. Nella salita verso il Calvario egli si fermò un momento per bere e, secondo la leggenda, un ebreo gli disse: “Vattene da qui!”. Gesù rispose: “Io me ne vado, ma tu dovrai aspettarmi, finchè non tornerò”. Il racconto (di cui esistono varie versioni più o meno simili) fu conservato nella tradizione orale per centinaia di anni e solo intorno al VII secolo i monaci cistercensi lo fissarono sulla carta. In questa prima versione l’ebreo errante torna ogni cento anni nel luogo dell’incontro con Gesù, ma non lo trova e riprende a errare in attesa di un’occasione di riscatto.


Nei vari paesi il personaggio assunse caratteri diversi, dal vecchio saggio onnisciente all’umile mendicante e ,laddove spirò forte l’antisemitismo, connotazioni decisamente spregiative. La figura dell’ebreo errante è diventata immagine della vita di un popolo, simbolo della realtà inquieta e fragile di tutti gli ebrei, stranieri tra le genti, privati della loro patria.
Questo è il punto di partenza. Il lettore particolarmente interessato può stilare una bibliografia del tema e raccogliere un’antologia dei brani più interessanti nonché raccogliere le illustrazioni più significative come i disegni di Paul Garvani per il romanzo Le Juif-errant di Eugène Sue. Magari pubblichiamo il tutto su queste colonne.

lunedì 21 aprile 2008

Quale forma?

Sto riflettendo su come mettere su questo blog quello che ho promesso precedentemente. Sotto quale forma? Dei fascicoletti che sembrino dei compiti da assegnare? Dei discorsi colloquiali e anche un po’ sgrammaticati e disarticolati che denuncino lo stato d’avanzamento dei lavori? Oppure, un esercizio forse più interessante e divertente (come faceva Borges) recensendo un libro in realtà mai scritto?

Anch'io scrittore?

Nel primo intervento apparso in questo blog accennavo alla tentazione di cimentarmi con la scrittura di un testo letterario, narrativo (per restringere il campo). Qualche giorno fa ho anche acquistato il primo volume del corso di scrittura pubblicato da "La Repubblica". Ho iniziato a leggerlo trovandoci riconfermata l’idea che la scrittura è davvero un’attività faticosa. Per analogia lo sperimento dedicandomi alla progettazione architettonica.
Scrivendo, in questo momento, m’è venuto il mente il pensiero che, forse, così come qualcuno desidera progettare la propria casa perché è la casa stessa che vorrà godersi alla fine, io abbia il desiderio di immaginare un bel racconto perché, in fondo, vorrei goderne la lettura. Avete mai desiderato di leggere un romanzo ambientato in un periodo storico di cui avete sempre subito il fascino? Oppure, atteso un film dedicato ad una storia che già conoscevate? Per quanto mi riguarda, ricordo di aver atteso con molta impazienza l’uscita al cinema di Alexander di Oliver Stone. Essendo stato sempre molto incuriosito dal personaggio e dalla sua lunga marcia verso Oriente non vedevo l’ora di sedermi per qualche ora e sentirmi raccontare di nuovo una storia che già conoscevo e di veder ricostruito un mondo che con un po’ di sforzo mi ero ricreato. Per inciso, non fui molto soddisfatto all’uscita dalla sala.
Con sincerità, non posso pretendere di farmi dei ponderosi romanzi e dei colossal cinematografici per uso personale (non che sarei in grado di farlo per diletto altrui d’altra parte). Avendo scelto di indirizzarmi verso un’altra direzione, sarebbe già molto se riuscissi ad essere un buon architetto. Il sogno di universalità per ora lo abbandono, la mia intelligenza mediocre mi consiglia di fissare dei paletti. Un altro inciso: mi sembra di ricordare che in un’intervista apparsa ieri su "La Repubblica" Rita Levi Montalcini usasse le stesso parole per parlar di sé (intelligenza mediocre). Probabilmente stiamo usando due scale diverse.
E se invece… Riprendiamo l’immagine del cinema. Un film si compone grazie a molti apporti: un soggetto che viene sceneggiato, una traduzione per immagini, un contributo sonoro, ecc. Se io, carente nella regia del tutto, fornissi un contributo?
Se pensiamo anche alla scrittura vediamo che negli ultimi anni esperimenti di collaborazione hanno dato ottimi frutti. Dicendo questo, penso immediatamente al collettivo di scrittori Luther Blisset o Wu Ming o …
Bene. Arrivando alle conclusioni, credo che si possa pubblicare nel (o sul, come si dice?) blog bozze di storie, possibili intrecci, ricostruzioni che cederei volentieri in “gestione” a chi, attrezzato a sufficienza, sia capace di farne un bel libro. Chissà, magari un valente gruppo di scrittori associati verrà colpito da un soggetto che troverà tra questi post e si riunirà dividendosi un po’ il lavoro tra chi dovrà redigere un dettagliato dossier cartografico dei luoghi, chi dovrà raccogliere le foto dei volti fisionomicamente giusti per la storia, chi preparerà un fascicolo che ricostruisca cronologicamente gli eventi storici coevi, chi inquadrerà bene il contesto delle conoscenze tecnico-scientifiche e del dibattito sociale-culturale del tempo, … Parlo di soggetti al plurale, in realtà in mente ne sto considerando uno solo. Più avanti, magari, lo illustrerò.

martedì 15 aprile 2008

Inaugurazione

Gentili lettori (qualora ci foste) inauguro ufficialmente questo blog. Grazie ad alcuni giorni piacevolmente distensivi ho avuto modo e tempo di riflettere sulla possibilità di pubblicare via web anch’io qualcosa.
Ad esser sinceri alcune piccole considerazioni mi suggerivano di desistere: in primo luogo la riluttanza a volte immotivata ed un po’ snob a partecipare ad un fenomeno di massa (es. comunicare via chat, leggere Harry Potter, ecc.) e poi la consapevolezza di non garantire la continuità nella dedizione alla scrittura.
Alla fine eccomi comunque a tentare di scrivere, un po’ stimolato dal prosperare di blog di amici ed un po’ per assecondare un’“aspirazione” letteraria celata.
Per qualche tempo, forse, potrò nutrire questo blog raccattando fogli sparsi e rielaborandoli. A volte, infatti, ho fermato qualcosa su carta credendo davvero che, se avessi avuto la costanza e l’animo ben disposto ad un po’ di sacrificio, avrei potuto dilettarmi con risultati pregevoli. Per inciso, quando ero al Liceo guardavo con ammirazione a quegli autori latini che, conciliavano la vita attiva con l’attività letteraria. Pensiamo a Catone il Censore, Cesare, Seneca, … A ben vedere, per quanto comunque difficile il loro era un mondo meno “complicato” del nostro. Vivevano all’interno di un orizzonte culturale dove la pretesa di compendiare il sapere, di redigere trattati esaustivi era possibile. Siamo molto lontani con la nostra complessità che ci consente solo manifesti, saggi, indagini, ecc. e, per noi che non siamo sufficientemente attrezzati, frammenti.
Frammenti di un discorso, se mi si può passare il termine, che possono essere anche i post dei blog, che, in ultima sede poi, possono arrivare a tracciare i lineamenti di quel volto ritratto di cui Borges ci parla.