Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

martedì 22 aprile 2008

Ebreo errante


Quest'estate andrò una settimana in Terra Santa. Come solitamente ritengo utile fare quando vedo all’orizzonte un viaggio mi metto alla ricerca, con largo anticipo, di un po’ di letture che mi preparino alla partenza.
Ieri ho messo piede in libreria indirizzandomi subito verso la sezione dei libri di Storia. Avevo in mente di vedere se ci fosse qualcosa relativo alla regione mediorientale, sul conflitto israelo-palestinese, sulla nascita dello stato di Israele, ecc. Per caso, il primo titolo che ho messo a fuoco è “Storia dell’ebreo errante” dello scrittore e saggista veneziano Riccardo Calimani. L’accadimento casuale è il pretesto ideale per introdurre finalmente quel soggetto che, con la dovuta fatica, potrebbe diventare una significativa storia da raccontare e da ascoltare.
L’ebreo errante è il soggetto a cui stavo pensando in chiusura del precedente intervento nel blog. Ho conosciuto questa leggenda popolare, ripresa poi da molti autori nel tempo (Goethe, Coleridge, Shelley, Schiller ,Sue, Hans Christian Andersen, Poe, tra i maggiori) da un altro libro dello stesso Calimani (Ebrei e pregiudizio. Introduzione alla dinamica dell’odio, Mondatori, Milano, 2000).
Per comunicare qual è il fulcro da cui si origina la leggenda riporto un breve passaggio dal primo libro che ho citato (sperando di non violare il diritto d’autore):


Un episodio della vita di Gesù dette origine al mito dell’ebreo errante. Nella salita verso il Calvario egli si fermò un momento per bere e, secondo la leggenda, un ebreo gli disse: “Vattene da qui!”. Gesù rispose: “Io me ne vado, ma tu dovrai aspettarmi, finchè non tornerò”. Il racconto (di cui esistono varie versioni più o meno simili) fu conservato nella tradizione orale per centinaia di anni e solo intorno al VII secolo i monaci cistercensi lo fissarono sulla carta. In questa prima versione l’ebreo errante torna ogni cento anni nel luogo dell’incontro con Gesù, ma non lo trova e riprende a errare in attesa di un’occasione di riscatto.


Nei vari paesi il personaggio assunse caratteri diversi, dal vecchio saggio onnisciente all’umile mendicante e ,laddove spirò forte l’antisemitismo, connotazioni decisamente spregiative. La figura dell’ebreo errante è diventata immagine della vita di un popolo, simbolo della realtà inquieta e fragile di tutti gli ebrei, stranieri tra le genti, privati della loro patria.
Questo è il punto di partenza. Il lettore particolarmente interessato può stilare una bibliografia del tema e raccogliere un’antologia dei brani più interessanti nonché raccogliere le illustrazioni più significative come i disegni di Paul Garvani per il romanzo Le Juif-errant di Eugène Sue. Magari pubblichiamo il tutto su queste colonne.

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