Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

domenica 31 agosto 2008

Influenze reciproche

Nel dormiveglia, in uno stato di allentamento della coscienza, quando probabilmente non appaiono ancora le immagini che, con la profondità del sonno, successivamente ci scorreranno davanti agli occhi ci girano in mente brevi pensieri, fili di ragionamento che in un attimo ci troviamo a perdere e non riusciamo più a recuperare. E' seccante. Prima li avevamo in testa e poi... dimenticati. Ma di cosa trattavano?
Purtroppo, pur non perdendo del tutto l'argomento, sono abituato a vederlo succedere non molto tempo dopo la conclusione della lettura di qualche bel saggio che, nel mentre, mi dava la sensazione finalmente di "padroneggiare" un piccolo campo del sapere per poi lasciarmi con la pochezza del non riuscire fissare con coerenza il filo delle riflessioni e delle argomentazioni. Forse l'assiduità della lettura prima o poi fara fermare qualcosa in più?
Ho quindi iniziato a leggere da pochissimo tempo un altro libro sul tema del Medio Oriente (Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, Laterza). Chissà che persistendo prima o poi non ne afferri maggiormente la storia e la complessità.
Nel primo capitolo ho trovato un passaggio molto interessante:

"La scoperta del Medio Oriente antico è stata in buona misura opera della scienza europea, degli archeologi che scoprirono le fonti delle informazioni e dei filologi che le decifrarono e interpretarono per mezzo di testimonianze copte e zoroastriane, degli storici e degli altri specialisti che le hanno valutate e utilizzate. La loro scienza ha finito col trovare discepoli nel Medio Oriente stesso, aggiungendo una nuova dimensione all'autocoscienza storica dei suoi popoli che, prima d'allora, si era limitata in sostanza al periodo che comincia con la rivelazione islamica."

Sembra di vedere l'immagine speculare, in un gioco simile di invasioni, crisi e sconvolgimenti sociali e polici, di ciò che avvenne nel Medioevo quando l'Europa latina recuperò parte della sua storia culturale con la trasmissione dei testi filosofici dell'antichità greca attraverso figure quali quella degli islamici Avveroè (nativo della Cordova almohade) ed Avicenna (nativo di Balkh in Afghanistan).
Aggiungerei anche un curioso paradosso, senza entrare con giudizi nell'agone storico-politico. Il popolo che probabilmente, ad eccezione solo di quello ebraico forse, nell'area mediorientale gode di una maggiore consapevolezza del proprio percorso nei secoli è quello persiano. Credo che lo sia tuttora, almeno come quando negli anni settanta, prima della rivoluzione islamica, lo Scià Reza Pahlevi decise di organizzare a Persepoli delle grandiose celebrazioni per i 2.500 anni di vita del regno persiano, ponendosi erroneamente in continuità con i vari Ciro, Dario, Artaserse, ... E' quindi strano che nei giornali si associno le sue guide ai proclami di distruzione dello stato di Israele, dopo che Ciro il grande pose fine alla cattività babilonese e predispose la ricostruzione del Tempio di Gerusaleme. Ma per fortuna i proclami dei grandi spesso non rispecchiano l'indole pacifica e sapiente dei popoli.

Per chi guardasse con curiosità a quel mondo antico, complesso e fondamentale per la nostra storia, è disponibile on line una puntata della trasmissione Passepartout dedicata ad una mostra organizzata al Louvre intitolata Babylone.

mercoledì 27 agosto 2008

Saper raccontare

Chiedo perdono se torno ancora sull'ultimo viaggio. Non è che non abbia nient'altro in mente. Tutt'altro. Ma questo forse non via annoierà.
Ormai un mese fa, fermandomi ad osservare il paesaggio della Giudea e le colline attorno Gerusalemme mi chiedevo con quali parole avrei potuto descrivere quelle immagini una volta tornato a casa. Una cosa mi aveva colpito, a parte la prima e superficiale osservazione dell'uso totale della pietra bianca per i rivestimenti degli edifici: i declivi e le gobbe dei dei rilievi erano stravolti dalla presenza massiccia delle abitazioni che a macchie colonizzavano il territorio.
Con la sensibilità di un italiano, avvezzo a certi tipi di temi, cercavo di trattenere e meditare le impressioni per cogliere l'originalità di quei luoghi senza ricorrere a parole purtroppo note alle nostre orecchie: ecomostri, abusivismo, cementificazione, deturpazione del paesaggio, ecc. Ritenevo di dover fare uno sforzo ulteriore per poter comprendere quelle forme d'insediamento perdendo momentaneamente il punto di vista della nostra cultura.
Apro solo una breve parentesi. Tre anni fa in un altro viaggio visitai la cittadella di Rayen in Iran e tra i compagni di viaggio, qualcuno, da addetto ai lavori, mosse qualche commento sulla rozza filosofia del restauro (ricostruttivo anzichè conservativo) che si evinceva dal recupero della cittadella in terra cruda e paglia. Senz'altro eravamo di fronte ad un'altra scuola di pensiero ma a mio avviso legittima e poi, soprattutto, legata a quel luogo. C'è qualcuno che mette in dubbio la legittimità delle ricostruzioni cicliche dei templi giapponesi?
Tornando al centro della questione, in segreto, speravo di non rendermi a mia volta altezzoso muovendo parole di condanna a quel paesaggio costruito "dall'alto" della mia posizione.
Questa mattina, in attesa del tram, continuando a leggere Il Signor Mani di Yehoshua ho letto le parole che avrei voluto poter dire. Cambiando quel che c'è da cambiare, perchè l'autore mette in bocca queste osservazioni ad un osservatore dei primi del '900, vi riporto, per imparare da chi sa veramente raccontare, il passo:
" Qua e là un edificio, qua e là una strada, qua e là le fondamenta di un nuovo quartiere. Una scuola, un ospedale, un asilo infantile, un sanatorio. Perchè la Gerusalemme fuori dalle mura è ancora solo un'accozzaglia di idee isolate, di capricci di singoli individui che si scelgono un'altura e vi gettano sopra i loro progetti. Ma intanto le idee non si amalgamano, non ci sono nemmeno le strade che le allaccino, ma solo sporadici sentieri tracciati da operosi turisti."

lunedì 25 agosto 2008

L'appello del Signor Mani

Destatevi prima che sia troppo tardi e prima che il mondo si sconvolga. Conquistatevi un'identità! Si cavò di tasca la Dichiarazione di Lord Balfour, che aveva tradotto in arabo, e la lesse a quella gente, ma senza spiegarla, poi aggiunse: questa terra è vostra e nostra, metà a voi e metà a noi, e indicò verso Gerusalemme, che si vedeva confusa nella nebbia sul monte, dicendo, là ci sono gli Inglesi e qui ci sono i Turchi, ma tutti se ne andranno, tutti, e noi resteremo soli con noi stessi, destatevi, non dormite.

In un intervento precedente avevo descritto l'immagine dal carattere bucolico impressa in una vecchia fotografia che ho acquistato qualche settimana fa a Gerusalemme. Conclusi il testo solo evocando la trasformazione che sarebbe poi arrivata. Leggendo oggi queste righe tratte dal libro Il Signor Mani di Abraham Yehoshua sono ritornato a quella foto. In quelle pagine si segue in un dialogo, nel quale solo una voce è riportata, la presa di Gerusalemme da parte dell'esercito britannico e la cacciata dei turchi dopo 400 anni di occupazione durante la prima guerra mondiale.
Un'altra occupazione si sostituisce su quella terra ma il Signor Mani intuisce all'orizzonte l'arrivo del suo popolo e grida un appello agli arabi di Palestina, invoca una loro identità, vuole che anche loro si facciano popolo perchè tra popoli si possa vivere, tra identità si sappia coesistere.

domenica 24 agosto 2008

Immagini dalla Terra Santa

A voi alcune immagini dal pellegrinaggio-viaggio in Terra Santa. Per i compagni di viaggio questo è un breve trailer del filmato che, una volta terminato, un giorno vedremo insieme.

sabato 23 agosto 2008

Partire per vedersi ritornare


Ai viaggiatori che forse sono rientrati dai viaggi d'estate offro due passaggi dall'apertura del libro di Marco Aime Sensi di viaggio, Ponte alle Grazie, Milano 2005.

"Puoi restare fermo, immobile e attendere che l'ombra diventi un sottile bordo nero e lentamente si sposti, ti giri attorno, si accorci, si nasconda sotto i tuoi piedi, quasi a scomparire, poi si riaffacci per allungarsi verso oriente fino a svanire stringendosi nel buio. Oppure muoverti, farla impazzire con cambi repentini, con passi zigzaganti, salendo e scendendo lungo i sentieri e le strade. Puoi lasciare la tua ombra al suo destino immutabile di satellite senza corpo oppure portarla con te, strofinandola sui terreni che ti passano sotto i piedi, sporca, infreddolita o schiantata dall'afa.
Non è vero che i viaggi avvengono nella testa, che si può viaggiare rimanendo a casa, che si possono fare viaggi stupendi con la mente. No, non è vero. Il viaggio nasce nella testa, matura, ma per esistere ha bisogno di assorbire linfa attraverso i sensi, toccare, sentire, annusare, assaggiare. [...]
Il distacco della partenza, la partenza come morte, quante pagine sono state scritte su questi momenti spesso enfatizzati. Il partire di chi, come me, come molti di noi, viaggia per piacere o per curiosità, è un "partire per vedersi ritornare", come cantava Vecchioni. Un addio fasullo. Lungo qualche settimana, forse qualche mese, mai una vita. Eppure, ogni volta, ci scopriamo più attaccati alle nostre cose che abbiamo d'attorno, più di quanto vogliamo ammettere. Più abitudinari di quanto pensassimo."

sabato 2 agosto 2008

Di ritorno dalla Terra Santa


All’indomani del rientro in Italia dalla Terra Santa non sono ancora a casa mia. La mattina è trascorsa nell’appartamento milanese con una lentezza rara per questa città. Le persiane che aprono sulla ringhiera a oriente sono rimaste chiuse per tutta la mattina lasciando la casa nella penombra di un risveglio lento e forse mai completo. Il cortile interno del palazzo è silenzioso e credo che anche la città in questo sabato mattina agostano non sia la stessa che comunemente percepiamo. La casa è popolata da me, dal quinto canale della filodiffusione Rai e dalle valigie disfatte tra ieri sera e stamattina.

Questo fine settimana sarò da solo a Milano e credo che sia un tempo prezioso per lasciar sedimentare i passati giorni di viaggio potendomi quasi permettere una vita “contemplativa”, se saprò conservare e custodire la lentezza di questa mattina, in questo monolocale che negli ultimi due mesi ha iniziato a conformarsi a chi lo abita ospitando per accumulo carte e libri. Gli ultimi arrivi, che credo rimarranno qui fino a quando non ripartirò per Macerata, sono un libro dell’Haggadah di Pesah e due splendide foto di Gerusalemme scattate tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del secolo passato, acquistate nel negozio di Kevork Kahvedjian, un fotografo armeno custode del tesoro delle foto di suo padre Elia nel quartiere cristiano della città contesa.

In una delle due immagini campeggia la Cupola della Roccia mentre nell’altra appare con discrezione, in lontananza, unico segno che ci rende familiare quel paesaggio. In primo piano, sulla sinistra della composizione, vi è invece un ulivo secolare che nasconde il sole che ormai volge al tramonto. L’aura di luminosità che contorna l’albero lo distacca dal fondale dell’immagine, dalla Gerusalemme minuta delle piccole case in pietra bianca che si distendono ad occupare la fascia centrale orizzontale dell’immagine. Gli ultimi raggi del sole pomeridiano colgono sulla destra un pastore, seduto sulla terra sassosa del Monte degli Ulivi. Sembra aver posto fine alla sua giornata di fatiche. Mentre le sue quattro pecore continuano a stargli appresso, intuisco il suo volto cercare il tramontare del sole che immagino scendere ai suoi occhi dietro alla Moschea dorata che il califfo Abd al-Malik volle realizzare alla fine del VII secolo. Ma a noi che non è dato vedere il volgere del giorno in notte. Lo si può solo immaginare negli occhi del pastore che vedono quello che il grande ulivo stesso sta guardando dandoci le spalle. A occidente si spegne il giorno ma si rinnoverà e rinascerà da dove, nella visione del Tempio che ebbe il profeta Ezechiele, ritorna il Signore. [un angelo] mi condusse allora verso la porta che guarda a oriente ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. [Ezechiele 43, 1-2]


Quella che Elia Kahvedjian ritrae nelle sue foto è una Gerusalemme che vedrà nei decenni successivi molte cose trasformarsi. Nell’occhio che ha visto la città di oggi può insinuarsi, nel soffermarsi su queste foto, il pensiero di una nostalgia profetizzata, proiettata di qualche decennio in avanti. L’immagine bucolica, che spero presto di appendere ad una parete familiare, difficilmente sintetizza l’odierna Palestina, il conflitto e la fatica di questa terra, mutata ben al di là di quanto le distese di edifici in continua costruzione che ricoprono i colli attorno il monte del Tempio testimoniano. Non è certo il fenomeno dell’inurbamento la lente attraverso cui comprendere cosa ci separa da quella Gerusalemme.