Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

sabato 2 agosto 2008

Di ritorno dalla Terra Santa


All’indomani del rientro in Italia dalla Terra Santa non sono ancora a casa mia. La mattina è trascorsa nell’appartamento milanese con una lentezza rara per questa città. Le persiane che aprono sulla ringhiera a oriente sono rimaste chiuse per tutta la mattina lasciando la casa nella penombra di un risveglio lento e forse mai completo. Il cortile interno del palazzo è silenzioso e credo che anche la città in questo sabato mattina agostano non sia la stessa che comunemente percepiamo. La casa è popolata da me, dal quinto canale della filodiffusione Rai e dalle valigie disfatte tra ieri sera e stamattina.

Questo fine settimana sarò da solo a Milano e credo che sia un tempo prezioso per lasciar sedimentare i passati giorni di viaggio potendomi quasi permettere una vita “contemplativa”, se saprò conservare e custodire la lentezza di questa mattina, in questo monolocale che negli ultimi due mesi ha iniziato a conformarsi a chi lo abita ospitando per accumulo carte e libri. Gli ultimi arrivi, che credo rimarranno qui fino a quando non ripartirò per Macerata, sono un libro dell’Haggadah di Pesah e due splendide foto di Gerusalemme scattate tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del secolo passato, acquistate nel negozio di Kevork Kahvedjian, un fotografo armeno custode del tesoro delle foto di suo padre Elia nel quartiere cristiano della città contesa.

In una delle due immagini campeggia la Cupola della Roccia mentre nell’altra appare con discrezione, in lontananza, unico segno che ci rende familiare quel paesaggio. In primo piano, sulla sinistra della composizione, vi è invece un ulivo secolare che nasconde il sole che ormai volge al tramonto. L’aura di luminosità che contorna l’albero lo distacca dal fondale dell’immagine, dalla Gerusalemme minuta delle piccole case in pietra bianca che si distendono ad occupare la fascia centrale orizzontale dell’immagine. Gli ultimi raggi del sole pomeridiano colgono sulla destra un pastore, seduto sulla terra sassosa del Monte degli Ulivi. Sembra aver posto fine alla sua giornata di fatiche. Mentre le sue quattro pecore continuano a stargli appresso, intuisco il suo volto cercare il tramontare del sole che immagino scendere ai suoi occhi dietro alla Moschea dorata che il califfo Abd al-Malik volle realizzare alla fine del VII secolo. Ma a noi che non è dato vedere il volgere del giorno in notte. Lo si può solo immaginare negli occhi del pastore che vedono quello che il grande ulivo stesso sta guardando dandoci le spalle. A occidente si spegne il giorno ma si rinnoverà e rinascerà da dove, nella visione del Tempio che ebbe il profeta Ezechiele, ritorna il Signore. [un angelo] mi condusse allora verso la porta che guarda a oriente ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. [Ezechiele 43, 1-2]


Quella che Elia Kahvedjian ritrae nelle sue foto è una Gerusalemme che vedrà nei decenni successivi molte cose trasformarsi. Nell’occhio che ha visto la città di oggi può insinuarsi, nel soffermarsi su queste foto, il pensiero di una nostalgia profetizzata, proiettata di qualche decennio in avanti. L’immagine bucolica, che spero presto di appendere ad una parete familiare, difficilmente sintetizza l’odierna Palestina, il conflitto e la fatica di questa terra, mutata ben al di là di quanto le distese di edifici in continua costruzione che ricoprono i colli attorno il monte del Tempio testimoniano. Non è certo il fenomeno dell’inurbamento la lente attraverso cui comprendere cosa ci separa da quella Gerusalemme.

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