Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

giovedì 28 agosto 2014

ARCHITETTURA DEL SUBLIME - ARTICOLO PER LA RIVISTA OSSERVATORIO C-MINIERA


Nella “Lettura” del Corriere della Sera qualche settimana fa Guido Vitiello prendeva spunto da un libro pubblicato da Sianne Ngai dell’università di Stanford dedicato alle categorie estetiche che dominano la sensibilità corrente. Nell’articolo si parla del bello e del sublime come categorie ormai in ombra, come sovrani decaduti che, chiusi nelle loro roccaforti, mantengono ormai solo un severo prestigio. E’ più comune ormai parlare di carino, interessante e così via.
Sublime e Bello sono parole nette e forti. Forse, effettivamente non molto adatte ad un’epoca di sensibilità attutita e indifferente. Forse è per questo che il carino è molto più comune nelle parole, nei commenti e nelle descrizioni. E’ accomodante e permette di non spingersi molto al di là del “normale”.
In queste poche righe si propone un piccolo percorso attorno ad una parola, Sublime, sicuramente polverosa. Attraverso essa si entrerà all’interno di una casa, senza mai descriverla puntualmente, con il gusto per indagare non delle stanze ma una sensibilità.

La riflessione sul Sublime, categoria forse ambigua nel parlare comune, si fa attenta nel ‘700, in un mondo “ampio”, in un mondo in cui l’ordine pacificato e composto dell’umanesimo poteva sembrare stretto. In un mondo in cui la rovina, le rovine e le civiltà passate mostravano sempre di più il loro fascino decadente ed emotivamente stimolante ai pensatori e agli artisti che si aprivano al mondo e alla sua storia oltre che con i libri, con il viaggio: il celebre Grand Tour, che si spingeva sempre più oltre Roma, arrivava in Sicilia e attraversava anche il Mediterraneo per aprirsi piano piano all’oriente più vicino. La quieta grandezza e la nobile semplicità di cui ci parlava Winckelmann nei suoi studi sull’arte della classicità greco-romana, modello ineguagliabile di bello, risultato di armonica composizione, razionalità ed equilibrio non è più l’unico interesse di chi guarda al passato con l’occhio fisso sul presente.
Mentre nel Rinascimento si riteneva possibile elaborare modelli armonici capaci di ricreare, attraverso la composizione secondo dati sistemi proporzionali, nel piccolo dell’opera, un microcosmo: piccolo sistema ordinato, rimandante o immagine di un macrocosmo trascendente, in età romantica e nell’ambito della sua sensibilità l’innalzamento al trascendentale non scaturisce dalla composizione armonica e definibile. Nel ‘700 è nell’incapacità di definire, di commisurare, di comprendere razionalmente che si trascende la sensibilità.
E’ in questo contesto che troviamo le riflessioni di Edmund Burke per il quale il sublime produce l’emozione più forte che si possa sentire: esso acuisce la tensione; o le riflessioni di Kant per il quale mentre il bello scaturisce dalla contemplazione della forma dell’oggetto (realtà fenomenica), da qualcosa di limitato, il sublime invece da quella di qualcosa sempre in forma fenomenica ma tendente all’illimitato, informe, non definito, come il cielo stellato o una tempesta grandiosa. Il sublime porta stupore, meraviglia e turbamento, turba la contrapposizione tra ciò che con l’immaginazione si intuisce e ciò che i nostri sensi non ci permettono di raggiungere. Dalla consapevolezza della nostra limitatezza scaturisce l’esaltazione di ciò che ci permette di trascendere i limiti della nostra sensibilità, usando le parole di Kant il sublime “attesta una facoltà dell’animo superiore a ogni misura dei sensi”.

L’architettura non può mai essere per sua natura immisurabile, illimitata, trascendente nella sua matericità ma può assumere caratteri evocativi, suggestivi, grandiosi, misteriosi nel suo gioco di forme, luci e colori, nella mutevolezza del suo formarsi nel tempo o nel suo disfarsi (si pensi al fascino delle rovine). Può essere sublime, può turbare, colpire la sensibilità e affascinare. Può condurre in un viaggio che può essere al tempo stesso intimistico e fuori di sé.
E qui torniamo a quanto anticipato: casi interessanti in cui intraprendere viaggi intimi e sublimi possono essere quei microcosmi personali che chiamiamo case quando sono capaci di rivelare nel privato un calore ed una sensibilità complessa ben al di là dell’ingessata immagine che si da in pubblico di sé.

A cavallo tra ‘700 e ‘800 a Londra per aggiunte successive, variazioni e mutazioni lunghe decenni uno degli architetti più in vista d’Inghilterra, John Soane si costruì a Lincoln Inn’s Field il proprio rifugio. [consiglio al lettore: la ricerca per immagini di Google sarà sicuramente d’aiuto per accompagnare le suggestioni qui scritte]. La critica che Soane muoveva ai suoi contemporanei, di costruire edifici vuoti, privi di emozioni e significati, banali si rende qui evidente. La semplicità e la ripetizione formale, non trovano spazio, piuttosto a ripetersi sono soluzioni singolari e trattamenti diversi degli spazi, caratterizzazioni estreme in accordo con quanto si dice in Le génie de l’architecture di Le Camus de Mézières, tra le letture più importanti per la formazione di John Soane:

ogni camera deve avere un carattere particolare. L’analogia e il rapporto delle proporzioni determinano le nostre sensazioni. Una stanza ce ne fa desiderare un’altra: quest’ansia occupa la nostra mente e la tiene sulle spine.”[1]

La realizzazione dell’architetto inglese riflette queste parole. La complessità dei luoghi, arricchita dall’uso dei colori e della luce creano un percorso all’interno della casa tra spazi dilatati e concentrati, bui e luminosi, non lascia allo spettatore indifferenza o quieta contemplazione, è colpito ed interrogato e stimolato.  Possiamo anche dire turbato, ripensiamo alle parole: “quest’ansia occupa la nostra mente e la tiene sulle spine.
 Siamo di fronte ad una nuova sensibilità: romantica. Il godimento estetico non deriva da una insita bellezza formale, ma dall’effetto, dall’impressione e dall’emozione dello spettatore; spettatore che è un individuo in equilibrio tra ragione e sentimento e non una pura razionalità cartesiana.
La poesia, la capacità espressiva e comunicativa dell’architettura si mostra prepotente. Ciò che mostra questa casa è la vicenda di colui che l’ha vissuta o meglio di colui attorno al quale è cresciuta.
Tale modo di concepire un’opera si evince già dalle riflessioni degli architetti francesi come Blondel o Le Camus de Mezieres che partendo dai concetti di carattere e convenancerendono manifesta l’idea che un’abitazione deve mostrare chi la abita, deve essere diversa a seconda che sia di un magistrato, prete o militare. Analoghe riflessioni sulla capacità poetico-comunicativa dell’opera architettonica erano condotte da Boullée che nella sua opera Architecture. Essai sur l’art dice: “I nostri edifici, particolarmente quelli pubblici, dovrebbero in una certa misura divenire dei poemi. Essi dovrebbero suscitare in noi delle sensazioni corrispondenti alla funzione da loro svolta”.[2]
Il racconto di sé fatto nella casa è frutto della particolare sensibilità di Soane di stampo romantico ma anche dell’influenza dovuta al suo interesse per l’opera di Rousseau. Verso l’autore francese Soane sentiva una particolare simpatia, per chi come lui aveva l’ossessione di essere vittima di complotti e incomprensioni. Questo spiega molti stati interiori e atteggiamenti come quello di cupo isolamento dovuto alla morte della moglie nel Novembre del 1815 e al difficile rapporto col figlio George. La lettura delle Confessioni o di altri libri come i dolori del giovane Werther di Goethe, andavano nella direzione di stimolare l’interesse per la sensibilità individuale. Nella lettura della narrazione dell’interiorità dello scrittore francese Soane trovava sostegno, un personaggio con il quale condivideva qualcosa. Non è azzardato rilevare nel filosofo che si sentiva incompreso dalla cultura dominante del suo tempo, marginale rispetto ad essa,  critico nei confronti della degradata società moderna alla quale contrapponeva la purezza antica un possibile parallelo nell’architetto critico nei confronti dei suoi contemporanei, mediocri ed incapaci di far poesia con i materiali dell’architettura.
Rousseau parla di sé attraverso i suoi scritti e parallelamente Soane parla di sé massimamente attraverso la sua abitazione, sarà il primo architetto inglese a scrivere dei libri sulle proprie case e nel 1819 in una nota manoscritta disse: “l’architettura parla un linguaggio proprio ma, soprattutto, un edificio, al pari di un dipinto storico, deve raccontare le propria vicenda”[3] e così  anche quando scriverà la Description of the House and Museum on the North Side of Lincoln’s Inn Field nel 1830 tornerà a Rousseau, fonte della sua ossessione per l’autoanalisi, concludendo il libro con le sue parole “le temps dévoilera bien des choses; alors on saura pourquoi je me tais”.

La casa, ora museo, nasce già per ospitare e mostrare collezioni. Il collezionismo è un fenomeno da sempre collegato all’uomo, le cui origini vanno magari ricercate nel feticismo e nella sua idea forse consciamente dimenticata di beneficio ricevuto dal possessore dell’oggetto derivante dall’oggetto stesso. La collezione porta con sé temi associati come quello del tempo. In primo luogo come sfida al tempo e quindi alla morte e alla dimenticanza, in secondo luogo come volontà di rianimare il passato. E’ dal Rinascimento che del collezionismo si fa un’attività razionale ed ordinata. Le collezioni settecentesche di intellettuali e artisti reduci dai lunghi viaggi del Grand Tour, spesso oltre Roma, si inseriscono quindi in una tradizione.
Tradizione segnata ad esempio dai gabinetti di curiosità che nell’Europa del seicento raccoglievano ammirazione, raccolte di naturaliaartificialia e mirabilia spesso non razionalmente ordinate, che stupivano i visitatori, teatri di meraviglie, le famose Wunderkammer, al tempo stesso luoghi di meraviglia e di diletto intellettuale.
Si è detto come l’organizzazione non fosse razionale ma lasciata alla volontà del collezionista, come è nel caso della casa di John Soane, la collezione rappresenta un “teatro di memoria, una magica enciclopedia di messaggi”[4], rimandi all’esperienza del collezionista, alla sua storia e ai suoi studi. Nella Description of the House and the Museum Soane si riferisce proprio a questo parlando de
“…il desiderio naturale di lasciare la minor possibilità che queste opere d’arte vengano rimosse dalla posizione assegnata loro relativamente; essendo state ordinate come studi per la mia mente ed essendo state intese similarmente per giovare agli artisti delle future generazioni.”[5]
Ai sensi del visitatore erano presentati oggetti non semplicemente mostrati come emblemi di una esemplarità classica ma “reliquie” cariche di Sehnsucht (nostalgia), affidati alla memoria e alla meditazione, ispiratrici e richiami di un mondo lontano evocato. Richiami ad un passato, muse dotate di valore pedagogico, agitatori dell’animo e guide artistiche  ma anche caricati di senso in quanto proiezioni del collezionista.
La particolare sensibilità che si stabilisce nel rapporto tra individuo e ambiente personale emerge anche successivamente nel tempo dalle pagine degli scrittori decadentisti. Si pensi a D’Annunzio.

La casa di John Soane è fatta per essere esperita e i suoi materiali, oltre alla concreta pietra, ai mattoni, al ferro, al vetro e a quant’altro la regge sono anche immateriali: Luce, Magnificenza, Grandezze e Mistero.
Soane probabilmente portò via con se dall’esperienza di viaggio in Italia il desiderio di riscoprire ogni giorno nella sua casa a Londra le luminose atmosfere mediterranee. Lo studio e l’interesse, poi, per i testi francesi di fine settecento, tra i quali assume maggior importanza il libro di Lecamus de Mézières Le Génie de l’Architecture ou l’analogie de cet art avec nos sensations segnò profondamente la sua riflessione. E’ dal testo citato che egli deriva il suo interesse per il concetto di lumière mystérieuse: uno “strumento pieno di potere”. Essenzialmente l’idea espressa è che la luce riesce a caratterizzare gli ambienti, a creare effetti difficilmente esplicabili ma indubbiamente suggestivi. Boullée osserva che:

 “E’ la luce che produce in noi varie sensazioni contraddittorie, che dipendono dal suo essere brillante o tenebrosa … Se potessi evitare la luce diretta e ottenere la presenza e ottenere la sua presenza senza che lo spettatore si accorga della fonte da cui deriva, ne seguirebbe un effetto di luce misteriosa, che produrrebbe impressioni inesplicabili e, in un certo senso, un effetto magico veramente incantevole.”[6]

Gli effetti della luce misteriosa amplificano l’interesse per la singolarità degli ambienti della casa museo. Il suo mistero rende lo spettatore incapace di comprendere appieno e razionalmente la natura dello spazio, di ricondurre a misura. L’effetto valica i limiti dell’intelletto e stimola l’emozione. L’elemento luce è da sempre stimolo per l’immaginario umano grazie al suo essere ponte tra immanente e trascendente, la più spirituale tra le cose materiali, e dona senso di sacralità ai fulcri della casa dell’architetto inglese.
I sistemi di illuminazione che Soane utilizza sfidano le atmosfere del nord non semplicemente cercando di amplificare al massimo la luminosità perché come suggerisce Burke: “La luce in sé è cosa troppo comune perché possa produrre una forte impressione sulla mente, e senza una forte impressione non vi può essere nulla di sublime.”[7] La luce è chiamata a giocare, filtrata attraverso vetri colorati, con il candore luminoso dei gessi, con le tenui tinte delle tele, con i vivi colori delle pareti, si è spettatori di un sapiente gioco di disposizione.
Negli effetti di contrasto con l’oscurità assume ricchezza lo stimolo che lo spettatore riceve, ospite di una scena teatrale percorribile ed esplorabile.

Anche la Magnificenza è fonte del sublime. Una grande profusione di cose, splendide o pregevoli in se stesse, è magnifica. […] Il disordine apparente aumenta la grandiosità …”[8]
Vi sono anche molte descrizioni nei poeti e negli oratori che devono la loro sublimità a una ricchezza e a una profusione di immagini dalle quali la mente è così abbagliata, che le riesce impossibile seguire quella esatta coerenza e quell’accordo delle allusioni, che esigeremmo in ogni altro caso.” [9]

E’ sufficiente percorrere le stanze e richiamare alla mente le disposizioni degli oggetti, delle opere e delle rarità all’interno della casa di Lincoln’s Inn Field e la corrispondenza con le parole di Burke appare evidente. Soane espone per accumulo, tutt’attorno al visitatore si sovrappongono stimoli visivi, le immagini si presentano nella loro moltitudine. La serena contemplazione del singolo pezzo esposto è quasi impossibile. Per analogia ci si potrebbe immaginare in una selva dove siamo storditi e agitati da una moltitudine di voci, suoni, rumori e grida, dove alcuni superano gli altri facendosi udire con più forza.
Il Dome, caso esemplare, rivela l’ossessione dell’intellettuale e del collezionista per le sue collezioni.  Ossessione forse nostalgica per un passato lontano e ora più che mai indefinito, che non si identifica con la semplice aurea età della classicità greco-romana. Le collezioni di John Soane e la loro esposizione palesano un gusto settecentesco legato all’ampliamento della scoperta delle antiche civiltà oltre il campo europeo, amplificando e fornendo nuovi stimoli e al fascino per la classicità nelle sue rovine che emozionavano per il loro passato sconosciuto, sublimi spesso più nell’associazione ad idee grandiose che alla grandiosità stessa.
Anche la vastità è una delle più grandi “cause” del sublime. E’ in natura che essa si manifesta con più forza. La visione delle Alpi era una tra le più grandi suggestioni di cui i viaggiatori del Grand Tour riferivano, o è nel pensiero del cielo infinito che il pensiero si perde, così come di contro nel pensiero  del minuscolo e del nulla.
Ciò che più sconvolge lo spettatore di  fronte alla grandezza è il non riuscire a definire (nel senso etimologico di delimitare) a percepire nell’insieme. Pensiamo ad alcune incisioni di Piranesi dove a volte la sua vastità delle rovine ritratte sconfina il foglio.
Nessuna opera d’arte può esser grande se non in quanto illude: l’essere altrimenti è solo prerogativa della natura.”[10] Ciò che allora fa di uno spazio uno spazio sublime è la proporzione, ma una proporzione diversa da quella dei canoni classici, proporzione che impedisce allo spettatore una reale percezione, che illude; già il Barocco si era mosso in questa direzione. La compostezza classica lascia spazio ad una disarmonia ricercata, crea una tensione.
Si gioca quindi con gli spazi, creando sequenze di dilatazioni e compressioni. Creando, come nel Dome, un’altezza sproporzionata. Soane gioca con le dimensioni, distorcendole ed illudendo. Caratterizzando gli spazi nella singolarità, pensando alla percezione, lasciando da parte schemi compositivi palladiani. Non è da dimenticare anche l’uso degli specchi come strumento potente di illusione spaziale.
Il mistero (ciò che non è conosciuto e conoscibile, oltre ciò che si comprende) è la parola meno rassicurante ma forse più forte e appropriata per stimolare una sensibilità romantica. Ciò che gli ambienti nascondono è strettamente legato all’uso della luce di cui già si è parlato e la poetica del sublime è legata spesso all’inesplicabilità di ciò che si ha di fronte che muove l’animo.

Ogni casa può avere il fascino di rivelare particolari storie e sensibilità. Alcune lo possono fare in modo particolare, se ben guidati da chi le conosce bene, per noi che le visitiamo. Potrebbe essere interessante costruirsi un personale itinerario. Chissà… partendo dalla casa propria o quella dei nonni… passando per Villa Adriana a Tivoli dove, riprendendo le parole della Yourcenar, Adriano teneva udienza ai suoi ricordi, o il Vittoriale di D’Annunzio  la Scarzuola di Tommaso Buzzi dove in questi anni il padrone di casa che fa da guida vale forse al pari del posto.



___________________________________ 

[1] citato in David Watkin, John Soane e l’Illuminismo, Casabella 660

[2] citato in Robin Middleton, David Watkin, Architettura. Ottocento, Electa, Milano, 2001, p. 192

[3] citato in David Watkin, John Soane e l’Illuminismo, Casabella 660

[4] Alessandra Mottola Molfino, Il libro dei musei, Umberto Allemandi & C., Torino, 1998, p.63

[5] John Soane, Description of the House and the Museum, dall’Exordium

[6] citato in Robin Middleton, David Watkin, Architettura. Ottocento, Electa, Milano, 2001, p. 192

[7] Edmund Buke, Inchiesta sul bello e sul sublime, Aesthetica edizioni, Palermo, 1985, p. 103

[8] Ibid., p. 101-102

[9] Ibid., p. 102

[10] Ibid., p. 100