Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

martedì 31 marzo 2015

Ci dovremmo essere...

Scrivere qui è un pò come nascondere nelle milioni di pagine online. E' un pò come sentirsi soli in una città di dieci milioni di persone. Così, di nascosto, nella vita reale ho portato avanti un progetto in completo nascondimento pur avendolo in qualche modo dichiarato e anticipato qui.
Bene... se qualcuno dovesse riprendere i post legati al Tag "scrittura" scoprirà accenni ad un'idea di racconto da scrivere ormai vecchia di anni.
A breve ci sarà davvero un libro in carne e ossa o, meglio, in inchiostro e carta. L'idea si è concretizzata e sto per pubblicare il mio primo libro. Era pronto in un cassetto da più di un anno. Adesso che se ne esce per offrirsi alla lettura di altri la tentazione di tirare fuori dal cassetto anche il resto. Vedremo...

Articolo Quid Culturae Febbraio 2015 - I luoghi del Silenzio


Riflettere attorno alle grandi parole, quelle di sempre, quelle pesanti e solide, quelle universali è un po’ come attaccarle con un martello, colpirle, cercare di scheggiarle e magari di far scoccare nell’urto qualche scintilla illuminante senza il timore di far sgretolare questo grande masso che esse sono. Silenzio è una di queste grandi rocce.
Il tema è per sua natura legato a quello della parola e del linguaggio e non credo di potermi permettere di giocare con troppe discipline spaziando da un campo ad un altro, dalla linguistica alle arti. Sul tema non perdo però mai l’occasione di suggerire e citare invece il libro “Silenzi eloquenti” di Carlos Martì Arìs che in qualche modo lo fa. Sorvolerei anche l’eterna questione della legittimità o meno del parlare d’architettura come un linguaggio in tutto e per tutto, individuare la natura dei significati e dei significanti, ecc.
Con poche righe mi piacerebbe solo volare leggero sopra al tema così che forse risulti più significativa la pausa della lettura tra una frase e l’altra che non la meccanica della riflessione.
Il primo rischio quando si affronta un tema monografico, un po’ come succede ai maturandi quando si avvicinano alla cosiddetta “tesina” multidiscilpinare, è raccogliere e cercare di tessere insieme ogni cosa associata almeno per rimando di parola o vago nesso di concetto in una grande costruzione che però appare inevitabilmente slegata e disarmonica. Il pericolo è quello di leggere tutto con la stessa chiave di lettura appiattente come nel detto americano, erroneamente attribuito a Mark Twain, “se hai un martello in mano, inevitabilmente tutto ti sembrerà un chiodo” (detto derivato da una frase dello psicologo statunitense Abraham Maslow in Psicologia della Scienza, 1966: «Suppongo che, se l’unica cosa che hai è un martello, sia allettante trattare tutto come fosse un chiodo»).
Ecco quindi che le prime riflessioni che mi sono appuntato su un foglio per entrare nel tema sono risultate le meno originali ed illuminanti. Il vuoto è certo lo spazio tra la parole, meglio lo spazio delle parole e non semplicemente la sua assenza o la sua incapacità, il mutismo o l’inespressività. E’ lo spazio per l’ascolto, lo spazio per il vuoto. Lo spazio che accoglie ma che forse è sorgente da cui può sgorgare un significato. È lo spazio dell’essenziale, senza finzioni o “rivestimenti”. In architettura è lo spazio nella/tra/per la vita. E’ l’immagine della figurazione architettonica del classico, della laconicità elegante che è in sé compiuta e che rigetta quindi il decoro superfluo ma è anche la laconicità faticosa ottenuta per pulizia e sottrazione quasi mistica di Mies van der Rohe o l’atemporalità delle opere di Louis Kahn, testimone, come l’architetto tedesco, di una modernità diversa da quella chiassosa, veloce e rumorosa di industria e lampi proclamata da Marinetti.
Mi appuntavo che quando si porta all’assoluto il tema del silenzio si arriva inevitabilmente a pensare ai luoghi del sacro e ai monumenti…..
Poi, ho cercato di sgombrare la testa di concetti e cultura per riprovare un’esperienza. E’ così che sono tornato alla suggestione delle cosiddette torri del silenzio, gli antichi luoghi della religione zoroastriana legati al commiato dei defunti. L’esperienza delle torri di Yazd, in Iran, è per me l’articolo migliore per parlare di un’architettura del silenzio. Nessuna lunga spiegazione o lezione è necessaria per cogliere quanto davvero il valore della parola silenzio sia nella natura del luogo. Ampi cerchi in alto sui monti fuori dalla città, senza decori ma perfetti, roccia modellata su roccia, larghi recinti verso il cielo dove anticamente il defunto veniva lasciato perchè fossero gli uccelli a smembrarne il corpo inanimato perchè non rendesse impura la terra o il fuoco con la sepoltura o la cremazione. Luoghi dove solo il cielo ed il vento hanno il diritto di parola. Solo con la concretezza di questo luogo mi inizia ad essere chiaro cosa possa voler dire quell’appunto banale: il silenzio è lo spazio da cui può sgorgare un significato. E sembra prendere corpo qui anche il racconto del profeta Elia sul monte Oreb che accoglie il mormorio di un vento leggero e si coglie l’essenziale esigenza umana di sospendere parola e azione per ricrearsi. Esigenza, che al di là di ogni tradizione sacra, è di ognuno di noi come anche i padri nobili dell’urbanistica moderna uniti nel CIAM (Congresso internazionale di architettura moderna) sancirono nella Carta di Atene del 1938 quando stabilirono quattro essenziali funzioni dell’uomo nella città: abitare, lavorare, circolare e ricrearsi ovvero coltivare corpo e mente. Non è come il comando di santificare le feste ma è un chiaro riconoscimento del valore universale della sospensione del clamore e di ogni frenesia, del silenzio, dell’ascolto.
Si può tornare a ribadire che il silenzio sia sorgente da cui può sgorgare significato e quindi vita, in definitiva.
E quindi è forse più sensato non cercare una legge, una codificazione del significato nelle arti e in architettura di silenzio come categoria critica o estetica ma di cogliere e prendere come propri quei luoghi capaci della suggestione che sospende il tempo e la parola con una promessa di un senso più profondo ed un significato in esso custodito: il sobrio edificio rurale, i potenti pilatri di una chiesa romanica, il rudere o forse, richiamo più misterioso, il monolite di 2001 Odissea nello Spazio.