Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

mercoledì 11 marzo 2009

Un sincero tributo

Chi ha vissuto a Venezia non può non conoscerlo... e non può non meritare anche un gruppo di fans in Facebook.



mercoledì 4 febbraio 2009

Quando meno te l'aspetti

La scorsa settimana ho macinato km su km a zonzo per Milano per spiare i luoghi delle grandi firme. Non sto avendo una deriva modaiola, ve l'assicuro, cercavo solo di spiare la promozione che le case di moda ed i grandi marchi fanno per se stessi attraverso i loro negozi, uffici, ... per avere qualche idee da spendere per un concorso che sto preparando per Benetton.
E così vai a vedere Armani, ... vai a vedere Dolce&Gabbana, ... vai a vedere la Rinascente, ... vetrine minimaliste alla Silvestrin e Pawson, un grande volume-vetrina per D&G in via Broggi, luci e schermi...

Ma la cosa che a maggior distanza mi ha attirato l'occhio e, forse la più suggestiva, è stata l'impalcatura che vedete qua sotto.
Le caratteristiche per essere un possibile manifesto di una nuova architettura le aveva tutte:
- una poetica dell'involucro leggero e tessile molto reattivo con la radiazione solare;
- una doppia facciata ?tecnica?, ?vivibile?, ?filtrante?
- l'essenzialità della forma raggiunta con la composizione di geometrie elementari;
- e chi ci vede altro lo scriva pure...



lunedì 12 gennaio 2009

ESCI ...



Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?».

1Re 19, 11-13

sabato 10 gennaio 2009

Camminando

Di ritorno da una breve passeggiata nel pomeriggio volevo in fretta e furia montare alcune immagini riprese camminando. Problemi tecnici me l'hanno impedito. Ma per non perdere la buona intenzione del piccolo filmato accompagnato da un breve commento ricorro, e scusate la poca professionalità, ad un piccolo collage con "materiali d'archivio".


La foto è stata scattata domenica 4 gennaio in Vicolo del Monte a Montefalco (PG) mentre il testo è un piccolo appunto scritto a Ottobre (o Novembre?) 2003 che doveva far parte di un racconto, ovviamente mai scritto, che doveva avere come personaggio centrale un vecchio signore. Cosa c'entra? In generale, niente. Nello specifico il "far due passi" doveva essere una delle tematiche del racconto ed il centro del frammento che segue.



Far due passi era una di quelle consuetudini che mai avreste potuto fargli perdere. Sovente accadeva che la sgambata si protraesse e andasse a disegnare geometrie improbabili quali quelle che una mosca potrebbe tracciare nel suo rimbalzante volare.
Quei piedi che il tempo aveva ormai sformato, tra pelle dura e valgismo, coprivano distanze notevoli ascendendo e scivolando giù per i piccoli percorsi nel borgo che la maestria aveva fatto sì che fossero disegnati perlopiù cercando la pendenza più dolce. Dolcezza che non affaticava il passo ma che imponeva lentezza, che sembrava voler calmare qualsiasi impeto di foga.
La possibilità di scorgere poi viste magnifiche sulla campagna e le terri verdi-marroni in una giornata come questa, di molte che ci sono, non era tra le preoccupazioni di ...

mercoledì 7 gennaio 2009

Viaggio in Iran_terza e ultima parte

Partiti dalla città regale ci dirigiamo a visitare altre importanti tracce dell’antico impero persiano. La prima tappa è Naqsh-e Rostam, dove incontriamo quattro tombe rupestri di sovrani achemenidi. Le ultime dimore dei Gran Re, quattro grandi croci greche concave, sono irraggiungibili dal suolo, in alto sulla parete rocciosa, vicine tra di loro, isolate nel paesaggio e visibili da lontano. Al livello del suolo, sulla parete, sono stati realizzati successivamente altri bassorilievi, in epoca sasanide. Tra le scene raffigurate primeggia quella del trionfo del re dei Parti, Shapur, sull’imperatore romano Valeriano, catturato e mai più tornato in patria.
A qualche chilometro di distanza abbiamo raggiunto Pasargade. Nella pianura l’interesse dello sguardo è attirato quasi esclusivamente dalla tomba di Ciro, il fondatore del primo grande impero della storia, il sovrano illuminato che nella Bibbia è riconosciuto come strumento di Dio quando liberò gli ebrei dalla cattività babilonese, l’anno in cui estese il suo potere anche sulla capitale mesopotamica. Il suo impero resse fino al 313 a.C., fino a che, mosso dal furore per il regno universale, Alessandro Magno, che la tradizione vuole aver onorato la tomba di Pasargade, non sbarcò in Asia.
La tomba è sopraelevata sul piano della pianura dell’antica città. I resti mortali del grande imperatore sono ospitati in questa opera laconica. Sopra una gradonata piramidale si erge la cella mortuaria dall’aspetto di una dimessa casetta, coperta con un tetto a spioventi in pietra. Dal basso si vede bene l’apertura che conduce all’interno ma non è possibile entrare. L’umile forma, o meglio la sobrietà dell’esterno, lascia dedurre che l’interno sia solo una buia e scarna stanza. Solitaria, libera tutt’attorno si erge la tomba. Sublime nella sproporzione tra la semplicità con la quale si esprime e la grandezza con la quale si pone al suolo.
E’ celebre l’iscrizione apposta sulla tomba che riporta la voce di Ciro. A riguardo riporto una riflessione di Mons.Ravasi:

O uomo, chiunque tu sia e da qualunque luogo tu venga: io sono Ciro, signore di molti re e di molti regni. Non invidiare il mio potere terreno poiché polvere ero e polvere sono tornato.


Il ricordo si è impallidito, eppure permane ancora intatta l'emozione quando, molti anni fa, sull'altipiano iranico mi si parò innanzi l'austero e imponente monumento funebre dell'imperatore persiano Ciro (VI sec. a.C.), il liberatore degli Ebrei dall'esilio di Babilonia. Di fronte agli alti gradoni che salivano fino alla monumentale camera sepolcrale a forma di sarcofago mi venivano in mente le parole del Secondo Isaia che scriveva: «Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: Io l'ho preso per la destra… Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca…» (si legga Isaia 45,1-8).
Ora, all'interno di quella sala funeraria, ove giacciono le spoglie di Ciro, sono incise le parole che sopra abbiamo tradotto e che vorremmo fossero per qualche istante meditate. Potere, fama, gloria, successo sono sfioriti e divenuti cenere nel silenzio di quell'altopiano circondato da monti aspri e solitari. Fra un secolo che cosa sarà mai del ricordo di noi e di ciò che abbiamo fatto? Un pensiero severo e aspro ma vero, destinato a ciascuno di noi «chiunque sia e da qualunque luogo venga». Ma per il cristiano c'è anche uno spiraglio di luce che si apre oltre la morte e la cenere e che è affidato alla capacità della fede di scoprire una guida divina: essa conduce il giusto per mano sul «sentiero della vita», senza «abbandonarlo nel sepolcro e lasciarlo nella corruzione» (Salmo 16,10-11).


Dal “Mattutino” di G.Ravasi nell’Avvenire del 03/06/2005

Si interrompe qui il diario. Dopo quel giorno in viaggio smisi di stendere queste piccole relazioni. Il resto lo vedete nei video.

martedì 6 gennaio 2009

Viaggio in Iran_seconda parte del diario

A parte i problemi di over-booking per alcuni componenti del gruppo tutto bene per lo spostamento a Shiraz. Dopo esser arrivati in serata e dopo esserci sistemati in albergo abbiamo passeggiato percorrendo un lungo viale fino al parco di Azadi. E’ venerdì e probabilmente anche per questo, per il giorno di festa della comunità islamica, il parco è stracolmo di gente e di famiglie riunite sopra i tappeti stesi sull’erba a fare il pic-nic.
Destiamo, come sempre, curiosità e non è possibile passare inosservati. Il vestiario e i tratti somatici ci tradiscono. Moltissimi bambini e ragazzi ci attorniano parlandoci in inglese. “Hello”, “How are you?”, … M., probabilmente per la sua statura, è indiscutibilmente al centro dell’attenzione. Stringe mani a destra e sinistra e viene tartassato dalle domande di 12-15 bambini. Si finge americano e si fa chiamare Dariush, nome certo non ignoto agli iraniani.
Dove ci muoviamo ci seguono e persino quando andiamo a sederci presso la terrazza di un chiosco che si affaccia sul laghetto del parco ci fotografano e ci filmano. Alla vivacità spontanea e simpatica dei primi ragazzi segue la scocciatura di altri più “cresciutelli” che ci ronzano fastidiosamente attorno come mosche e come mosche ci stuzzicano. E’ evidente la classica dinamica del gruppo, del branco. Fossero singoli non avrebbero neanche il coraggio di avvicinarsi se non per scambiare i saluti di cortesia. Rubato, col trucco di chiederne una in prestito, un pacchetto di sigarette a E. fuggono. Non ho visto la scena ma mi dicono che poco dopo alcuni, visti da un poliziotto che passava di lì, sono stati “multati” con calci nel sedere.

Il giorno seguente, sabato 13, come da programma, lo dedichiamo alla visita di Persepoli, Naqsh-e Rostam e Pasargade, i resti dello splendore dello scomparso impero persiano achemenide che, sorto dalla mani di Ciro il grande nel VI sec. a.C., si dissolse al passaggio di Alessandro il grande nel IV sec. a.C.
La puntualità non è un carisma del nostro gruppo: partiamo troppo tardi (mi sembra di ricordare alle 9.30). Gli spostamenti non sono rapidi anche perché dobbiamo fermarci spesso per dei controlli stradali della polizia e anche perché una prima volta si sbaglia strada. Ci troviamo, quindi, a passeggiare tra le rovine di Persepoli dalle 11-11.30 alle 15, quando il sole è a picco e l’antica città di Dario, orfana delle coperture, diventa rovente.
La città cerimoniale dei persiani è visibile in fondo al lungo viale alberato che percorriamo in pullman. Persepoli si copre le spalle con delle colline brulle e si eleva sopra un grande basamento litico. A Persepoli non si arriva semplicemente, si sale. Il visitatore percorre la prima scala e partecipa alle processioni che i dignitari degli antichi popoli sottomessi a Dario compivano per rendere omaggio al Gran Re. Le pareti rimaste ripetono senza sosta le immagini dei sudditi che si muovono all’unisono incontro al sovrano. Gli effetti delle distruzioni lasciano leggere meno chiaramente le direzioni imboccate dalle delegazioni ma per il visitatore attuale è un piacere anche il semplice vagare disorientato tra i resti dei grandi palazzi.
Finalmente sono arrivato nel luogo d’origine di quell’immenso capitello che vidi nel 2003 visitando il Louvre. Ricordo la grande impressione che mi fece la vista di quell’appoggio per la trave composta da una coppia di tori. La sua colossalità mi stupì, ancor di più immaginandolo issato sopra il fusto di una colonna e moltiplicando le colonne secondo la ricostruzione che accompagnava il cartello didascalico che lo accompagnava. Fui molto più impressionato al Louvre, probabilmente per la novità di quel pezzo, che non vedendo le poche colonne ancora verticali a Persepoli. In quel contesto armonico quei pezzi occupavano una posizione naturale e l’insieme ti abituava a vedere anche ciò che sfuggiva a qualsiasi consuetudine scalare.
La colossalità cerca di evocare riverenza e, ai nostri occhi, una più alta considerazione di coloro che sin dall’antichità sono stati considerati solamente come gli avversari dei greci.
Passando per le porte dei palazzi, spesse circa 3 metri, ci muoviamo ai piedi di enormi bassorilievi antropomorfi. Sono di pietra e celano l’immagine del trilite per assumere la figura di una fascia composita che si alza verticalmente, si piega orizzontalmente per ritornare a terra dopo aver delimitato il vuoto del passaggio. L’immagine di questi portali rimane silenziosamente nelle menti dei costruttori fino alla creazione degli iwan (anche se più legati, certamente, all’architettura sasanide), quando all’interno del grande vuoto si inserirà un’ampia nicchia.
Standoci in mezzo non si riesce con immediatezza a capire l’impianto spaziale della città. Dalle tombe rupestri degli Artaserse si gode di un’ottima veduta d’insieme, dall’alto, di Persepoli.

sabato 3 gennaio 2009

Viaggio in Iran

Dopo essermelo ripromesso da un bel pò inizio a pubblicare, a puntate, il video del viaggio in Iran dell'estate 2005. In questa prima parte l'arrivo a Teheran e lo spostamento a sud, a Shiraz, da dove si raggiungono le testimonianze dell'antico impero persiano achemenide: Persepoli, Pasargade, ...
Per i più curiosi segue anche la trascrizione della prima parte dello scalcinato "diario di bordo" scritto in viaggio.

Buona visione



Dopo una partenza ritardata dall’aeroporto di Fiumicino siamo riusciti ad arrivare, stranamente, in orario a Teheran compiendo il volo in circa tre ore e mezzo. Sbarchiamo alle 18.30 e l’unico lieve disagio è dato dalla coda al controllo passaporti in un’ampia sala del pianterreno del terminal dell’aeroporto. Aspettando in fila noto le prime immagini delle guide supreme della Repubblica Islamica, il defunto Khomeini e l’attuale Khamenei, che vigilano.
Lo spirito del viaggio fa mettere in conto qualche disagio ma la prima sera ne è scevra. All’aeroporto ci viene a prendere un autista con un bus da 50 posti per noi 19, e ci porta all’Hotel Enghelab (rivoluzione), in via Taleqani, che con la sua mole di 16 piani e le eloquenti 4 stelle ci stupisce. Immaginavo di dover alloggiare in alberghetti ed invece dormo in un hotel che probabilmente è legato al periodo dei fasti dell’ultimo Scià a metà anni ’70. Dal terrazzo della doppia al 15° piano vediamo in lontananza le montagne che chiudono l’orizzonte della città e, vicino il cortile d’ingresso dell’albergo, sulla parete laterale di un edificio, un grande murales dal quale i due ayatollah sorvegliano.

La mattina nella capitale è dedicata alla visita del Museo Nazionale e dell’attiguo Museo Islamico. La partenza non brilla per la puntualità. Dopo la sveglia alle 7.30 e la colazione abbiamo pattuito di partire alle 9.00. Tra la nostra indecisione su come raggiungere il polo museale e l’incomprensione con i 5 tassisti che ci dovevano accompagnare si perde parecchio tempo. Noi continuavamo a chiedere del Museo Nazionale nelle varie lingue occidentali che conoscevamo e ci stupivamo, stranamente, no?, che non capissero l’internazionale “National Museum”. Per loro si trattava dell’Iran Bostan e solo l’indicazione della vicinanza con la piazza Khomeini ci fa intendere.
La corsa per le strade di Teheran con il taxi è divertente agli occhi frivoli del turista ingenuo. In realtà la guida sregolata è un pericolo continuo per i passeggeri ed i pedoni, soprattutto, che non hanno nessun diritto, strisce o non strisce. Vige la legge del più forte ed i poveri appiediati vengono sfiorati ed evitati all’ultimo con manovre secche dagli autisti.
Il Museo Nazionale non è grandissimo. Sono esposti oggetti che coprono il periodo pre-islamico andando indietro fino alla preistoria. Dove ci muoviamo destiamo curiosità, quasi maggiore di quella destata dai reperti. Nei pressi dell’uscita un gruppo di studentesse ci ferma e ci chiede del nostro viaggio consigliandoci anche dove mangiare. Quanta ospitalità!
Il vicino Museo Islamico mi è sembrato più interessante (libri, miniature, ceramiche, vetri,…). Osservando alcuni Mihrab in stucco collocati nelle sale noto, con l’occhio da architetto, due variazioni nello stesso tipo. L’immagine è quella del portale, dell’iwan. Nelle due forme è invariata la presenza della cornice esterna concepita non come unione di due piedritti ed un architrave bensì come fascia continua. Nel primo tipo (forse il più vecchio) il portale vero e proprio della nicchia interna è dato da due colonne che sostengono due dadi (di solito con una figura stellare sopra) sopra ai quali poggia direttamente l’arco. Nell’altro tipo c’è una semplice linea continua che disegna tutto il profilo delle parti verticali laterali e dell’arco.

Dai musei ci siamo incamminati verso il palazzo del Golestan. Il palazzo, di età cagiara, si estende basso attorno ad un grande cortile. Purtroppo la mole degli edifici governativi intorno lo schiacciano. Il palazzo cinge un grande giardino con vasche d’acqua. Il giardino è il centro del complesso. Gli edifici non destano una grande impressione. Camminando per le sale un tempo reali siamo entrati in contatto per la prima volta con un esempio dell’architettura cagiara. Ero scettico riguardo alla resa estetica del complesso forse perché è presentato dalla Lonely Planet come esempio degli eccessi cagiari. Me la raffiguravo come una accozzaglia di inutile sfarzo vistoso ed esibito per celare una povertà ideativa. Mi sono sbagliato di poco.
Il palazzo esibisce la sua opulenza soprattutto nella sala del trono di marmo. Questa sala, non particolarmente grande, si affaccia sul giardino a mo’ di loggia con una facciata completamente aperta, purtroppo tappata da un brutto telo bianco. Da questa alta loggia sopraelevata lo Scià, forse altero e vanitoso, assiso sulla pedana di alabastro del trono, svettava e si godeva il giardino ai suoi piedi.
La decorazione interna è risolta da un complesso apparato di piccoli specchi e di vetrini che tappezzano le pareti. (Più avanti scopriremo come originariamente questa decorazione fosse una soluzione impiegata per i mausolei).

Consumato un rapido pasto si corre, letteralmente, in taxi all’aeroporto per prendere il volo per Shiraz. Il modo di guidare è ciò che mi fa innervosire di più in Iran. Pur concedendo che, mediamente, gli autisti possano essere bravi piloti non sopporto la sfrontatezza con cui si lanciano, schivando i pedoni, sfidando qualsiasi norma della prudenza. Chi attraversa la strada è solo un intralcio e deve essere sua e solo sua la preoccupazione di evitare di esser preso sotto.