Introduzione

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

Jorge Luis Borges, Epilogo da L'artefice, 1960

martedì 6 gennaio 2009

Viaggio in Iran_seconda parte del diario

A parte i problemi di over-booking per alcuni componenti del gruppo tutto bene per lo spostamento a Shiraz. Dopo esser arrivati in serata e dopo esserci sistemati in albergo abbiamo passeggiato percorrendo un lungo viale fino al parco di Azadi. E’ venerdì e probabilmente anche per questo, per il giorno di festa della comunità islamica, il parco è stracolmo di gente e di famiglie riunite sopra i tappeti stesi sull’erba a fare il pic-nic.
Destiamo, come sempre, curiosità e non è possibile passare inosservati. Il vestiario e i tratti somatici ci tradiscono. Moltissimi bambini e ragazzi ci attorniano parlandoci in inglese. “Hello”, “How are you?”, … M., probabilmente per la sua statura, è indiscutibilmente al centro dell’attenzione. Stringe mani a destra e sinistra e viene tartassato dalle domande di 12-15 bambini. Si finge americano e si fa chiamare Dariush, nome certo non ignoto agli iraniani.
Dove ci muoviamo ci seguono e persino quando andiamo a sederci presso la terrazza di un chiosco che si affaccia sul laghetto del parco ci fotografano e ci filmano. Alla vivacità spontanea e simpatica dei primi ragazzi segue la scocciatura di altri più “cresciutelli” che ci ronzano fastidiosamente attorno come mosche e come mosche ci stuzzicano. E’ evidente la classica dinamica del gruppo, del branco. Fossero singoli non avrebbero neanche il coraggio di avvicinarsi se non per scambiare i saluti di cortesia. Rubato, col trucco di chiederne una in prestito, un pacchetto di sigarette a E. fuggono. Non ho visto la scena ma mi dicono che poco dopo alcuni, visti da un poliziotto che passava di lì, sono stati “multati” con calci nel sedere.

Il giorno seguente, sabato 13, come da programma, lo dedichiamo alla visita di Persepoli, Naqsh-e Rostam e Pasargade, i resti dello splendore dello scomparso impero persiano achemenide che, sorto dalla mani di Ciro il grande nel VI sec. a.C., si dissolse al passaggio di Alessandro il grande nel IV sec. a.C.
La puntualità non è un carisma del nostro gruppo: partiamo troppo tardi (mi sembra di ricordare alle 9.30). Gli spostamenti non sono rapidi anche perché dobbiamo fermarci spesso per dei controlli stradali della polizia e anche perché una prima volta si sbaglia strada. Ci troviamo, quindi, a passeggiare tra le rovine di Persepoli dalle 11-11.30 alle 15, quando il sole è a picco e l’antica città di Dario, orfana delle coperture, diventa rovente.
La città cerimoniale dei persiani è visibile in fondo al lungo viale alberato che percorriamo in pullman. Persepoli si copre le spalle con delle colline brulle e si eleva sopra un grande basamento litico. A Persepoli non si arriva semplicemente, si sale. Il visitatore percorre la prima scala e partecipa alle processioni che i dignitari degli antichi popoli sottomessi a Dario compivano per rendere omaggio al Gran Re. Le pareti rimaste ripetono senza sosta le immagini dei sudditi che si muovono all’unisono incontro al sovrano. Gli effetti delle distruzioni lasciano leggere meno chiaramente le direzioni imboccate dalle delegazioni ma per il visitatore attuale è un piacere anche il semplice vagare disorientato tra i resti dei grandi palazzi.
Finalmente sono arrivato nel luogo d’origine di quell’immenso capitello che vidi nel 2003 visitando il Louvre. Ricordo la grande impressione che mi fece la vista di quell’appoggio per la trave composta da una coppia di tori. La sua colossalità mi stupì, ancor di più immaginandolo issato sopra il fusto di una colonna e moltiplicando le colonne secondo la ricostruzione che accompagnava il cartello didascalico che lo accompagnava. Fui molto più impressionato al Louvre, probabilmente per la novità di quel pezzo, che non vedendo le poche colonne ancora verticali a Persepoli. In quel contesto armonico quei pezzi occupavano una posizione naturale e l’insieme ti abituava a vedere anche ciò che sfuggiva a qualsiasi consuetudine scalare.
La colossalità cerca di evocare riverenza e, ai nostri occhi, una più alta considerazione di coloro che sin dall’antichità sono stati considerati solamente come gli avversari dei greci.
Passando per le porte dei palazzi, spesse circa 3 metri, ci muoviamo ai piedi di enormi bassorilievi antropomorfi. Sono di pietra e celano l’immagine del trilite per assumere la figura di una fascia composita che si alza verticalmente, si piega orizzontalmente per ritornare a terra dopo aver delimitato il vuoto del passaggio. L’immagine di questi portali rimane silenziosamente nelle menti dei costruttori fino alla creazione degli iwan (anche se più legati, certamente, all’architettura sasanide), quando all’interno del grande vuoto si inserirà un’ampia nicchia.
Standoci in mezzo non si riesce con immediatezza a capire l’impianto spaziale della città. Dalle tombe rupestri degli Artaserse si gode di un’ottima veduta d’insieme, dall’alto, di Persepoli.

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