Abbiamo finito di cenare. Mia madre è ancora in cucina con
la tv accesa a sparecchiare. Noi siamo in soggiorno. Mio padre su un divano, io
sull’altro. La televisione è accesa. Si cerca il riposo di fine giornata. Tutto
è normale. Mia madre ad un nuovo rumore di aereo che sorvola a
bassa quota, che evidentemente hanno cadenzato anche le ore passate, dalla
cucina: “Ma che sono tutti questi aerei oggi?” e mio padre, composto: “Andranno
in Siria…”
Nella normalità più totale, in un momento di vita familiare
serena per quanto in un periodo in cui vari pensieri e alcune urgenze tengono in
apprensione, dove tutto, bene o male, è
risolvibile, e niente cade tranciante a dividere da un prima equilibrato ed un
tragico dopo, ho avuto la presa di coscienza più significativa di quella che tante logiche
e accurate letture di giornale o immagini televisive sulla guerra di cui si
discute abbiano potuto offrirmi.
A distanza di un mare ho pensato l’esatta scena speculare
della nostra famiglia che non sente quegli aerei passare
ma, impotente, gli sacrifica la serenità, il futuro, i progetti e i legami.
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